lunedì 18 aprile 2011

Il benessere fisico e mentale in carcere

di Enrico Magni (Medico nel carcere di Lecco)

La Provincia, 17 aprile 2011

C’è stata una piccola ma significativa riforma, che è poco conosciuta, ma è importante sul piano civico e civile. È la presenza di operatori sanitari pubblici all’interno delle carceri. 

In sostanza l’attività sanitaria, dal giugno 2010 all’interno del carcere, è a carico della sanità pubblica e non più della Giustizia.
 È stato possibile per le Linee di Indirizzo Regionale per la Sanità Penitenziaria in attuazione della Dgr n. 8120 dell’1 ottobre 2008, che riprende una legislazione nazionale risalente agli anni novanta e duemila.
Si spera che le strutture Sanitarie locali si organizzino e si preparino anche per affrontare il reinserimento degli ospiti che stanno ammassati all’interno dei famigerati Ospedali Psichiatrici Giudiziari. 

Le carceri sono un luogo interessante per chi si occupa di salute mentale e di criminologia, perché è possibile raccogliere una serie di storie individuali che raccontano la dimensione della marginalità oltre che del delinquere comune. È possibile individuare tre aree di criticità.
La prima è l’area della marginalità. È composta da tossicodipendenti, da migranti con un livello socioeconomico basso o medio basso e un livello socioculturale medio-basso; gli immigrati sono più scolarizzati dei locali e sono più strutturati a livello psicologico.
La seconda area è del disagio sociale. Riguarda chi delinque e commette dei reati che interessano il patrimonio di basso livello, sono persone che sono sempre poste al bordo del sociale. La terza area riguarda il delinquere. Costoro delinquono con finalità maggiori, sono quelli che necessitano, in modo specifico, di essere trattenuti e rieducati. 

Il carcere è anche un luogo di cura e di tutela dell’individuo.
È utile evidenziare l’importanza della presenza di operatori sanitari pubblici all’interno della struttura. È un lavoro silenzioso, nuovo e poco conosciuto ma di alta qualità.
Per questo motivo è opportuno offrire, in modo succinto, alcuni dati raccolti dal lavoro che si sta compiendo all’interno di un carcere a basso livello di pericolosità.
Attualmente prestano servizio quattro medici, due infermieri, uno psicologo per 20 ore al mese e uno psichiatra per 10 ore, oltre l’intervento del Sert.

 Nell’anno 2010 sono entrati 176 persone, ne sono stati presi in cura il 71%, il 29% non è stato preso in cura perché privo di problematiche sanitarie.
Le patologie maggiormente riscontrate sono le tossicodipendenze per 47%, le epatiti C e B pari al 14%, le disfunzioni dismetaboliche pari al 8% e il disagio psichico per il 12 %.
Il totale delle patologie riscontrate riguarda 94 persone, pari al 53% della popolazione carceraria transitata dal giugno a dicembre del 2010.
Si sono effettuate 1.335 prestazioni: 86% di visite mediche; 6% di visite psicologiche; 6% di visite specialistiche esterne; 2% di visite psichiatriche.

 I tossicodipendenti sono: 13% stranieri e 30% italiani.
Si sono monitorizzati cardiopatici, gastropatici, broncopneumopatici, epatopatici, affetti da sindrome Hiv, alcoldipendenti, tossicodipendenti e disturbi psichici. Si è predisposto per ogni disturbo una protocollo di prestazioni specifiche per curare e favorire il benessere fisico e psichico dell’ospite.
È un segno di civiltà che va ulteriormente sviluppato e garantito. 

È inevitabile osservare che il carcere sta svolgendo una funzione di sussidiarietà alla marginalità sociale, culturale ed economica. Tutto ciò dovrebbe porre delle domande e delle riflessioni per chi sta fuori: la qualità del vivere e del benessere non può e non va suddivisa in chi sta dentro e in chi sta fuori. Sbagliare è possibile.


Fonte : Il detenuto ignoto

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