Da "URLA DAL SILENZIO"
Nicola Ranieri è il detenuto malato di tumore.. con cui, fin dal momento in cui ci ha annunciato la diagnosi che gli era stata fatta (tumore maligno al polmone.. andate al link…) abbiamo creato una connessione speciale, un vero filo diretto. Lui ha iniziato a scrivere tanto, e noi stiamo pubblicando quasi sempre le sue lettere.
Questa è un pò datata, per una serie di motivi mi è venuta con un pò troppi giorni di ritardo. Comunque Nicola in sostanza dice che se anche il nuovo ciclo di chemioterapia darà esiti negativi come i precedenti, si lascerà morire. Perchè non vuole più tollerare l’estrema debilitazione che determina la chemio, senza peraltro avere alcuna guarigione dal suo male.
Amici.. sono momenti durissimi per Nicola.. è fisicamente provato in maniera estrema.. le vostre lettere adesso per lui sono importantissime. Ogni singola lettera è un granello di forza e speranza e nutrimento in questa stagione dolorosa. Scivere vi toglie solo una piccola parte del vostro tempo. Per Nicola è uno dei pochi momenti di “ossigeno” che ha. Il valore delle persone si rivela anche da come sanno agire dinanzi a qualcuno in difficoltà.
Vi ripeto il suo indirizzo..
SCRIVETEMI.. FATEMI SENTIRE UNO DI VOI.. NON LASCIATEMI SOLO…FATEMI SENTIRE LA VOSTRA PRESENZA.. FATEMI DOMANDE.. MA SCRIVETEMI…
NICOLA RANIERI
VIA CAMPORGNAGO N. 40
20090 OPERA (MILANO)
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Grazie….
Milano Opera 21.03.2011
Carissimi lettori, scrivo questa lettera perchè finchè respiro vi terrò informati sul cammino che mi fanno fare questi umani amanti della legge.
La prossima settimana mi riportano all’ospedale per rifare questa benedetta chemioteraia, sperando che dia l’esito sperato. In questo momento ho scritto al Magistrato di Sorveglianza dottoressa “CEFFA”, chiedendole gli arresti domicialiari perchè la chemioterapia è incompatibile con il carcere. Lo dice la Costituzione e il codice penale. A prescindere da tutto, ho scritto al Magistrato che se all’ospedale non risolvono niente, quando torno rifiiuto tutte le cure, non accetto niente e non faccio nessun esame.
Insomma mi lascio morire, perchè sto male, le gambe si sono gonfiate e non ho più la forza di una volta.
Con questo scritto voglio che lo sappiate. Solo informarvi e nient’altro. Sto scontando 30 ann di carcere, la metà li ho scontati, è venuto questo TUMORE MALIGNO AL POLMONE. Qui invece di interessarsi a farmi uscire, vengono e parlano, sempre parlano, parlano, sono confusi, mentre io ho la patologia, piango e tutto rimane com’è. So che la morte è una cosa brutta, ma ormai mi sono deciso. Che posso fare ormai.. in carcere con questo male non ci sto. E’ doppia galera per me, perchè solo per mettermi le calze devo stare cinque minuti. Sembro un vecchio di 100 anni. Quando vengo dall’ospedale o mi portano vi faccio sapere. Meglio morire che soffrire circondati da persone che hanno fatto scuole sfruttando la loro cultura sulla vita delle persone.
Morirò da uomo, non temete.
Invio i miei più sinceri saluti, e ricordate che non cambio idea. Sono deciso e andrò avanti fino alla fine.
Ringrazio
Nicola Ranieri
Battere la paura della morte! Non siamo liberi di scegliere quello che ci succede (essere nati il tal giorno, da certi genitori, in un certo luogo, essere investiti da un’automobile, essere belli o brutti, ricchi o poveri eccetera), ma siamo liberi di rispondere a quello che ci succede in un modo o nell’altro (obbedire o ribellarci, essere prudenti o rischiare, vendicarci o rassegnarci, vestirci secondo la moda o travestirci da orchi). Ci sono cose che dipendono dalla mia volontà (e questo è essere libero), ma non tutto dipende dalla mia volontà (sennò sarei onnipotente), perché chi vive in un certo “ambiente” ci sono molte altre volontà e tante altre necessità che non controllo a mio piacere. Tutto ciò mi è sicuramente difficile spiegarlo con questo mio scritto, le situazioni, i drammi, l’ambiente dove ho vissuto, gli amici, indicano un unico percorso senza svolta, ma credo che se si vuole veramente calarsi nella mia persona, bisogna spogliarsi da qualsiasi giudizio e prendere tutto il necessario ed andare a vivere dove ho vissuto io. Sicuramente credo che lei rimarrà com’è attualmente, ma i suoi figli forse senza che se ne accorga con il passar dei giorni diventeranno ribelli, testardi, e su questo punto sono certo che se si metterà la mano sulla coscienza, non mi darà torto mi creda. Se non conosco né me stesso né il mondo in cui vivo la mia libertà si scontrerà prima o poi contro la necessità. Ma, cosa importante, non per questo smetterò di essere libero…anche se mi scoccia. Lo sappiamo: in Italia ci sono molti omicidi di faide al giorno, ma nessuno si cura di loro. L’indifferenza è forse una difesa per sopravvivere in un mondo frustante, dove non esistono risposte, dove noi stessi impariamo, per poi insegnare ai nostri figli, che la maggior parte delle volte niente è bianco o nero, ma tutto è grigio, e perciò non esistono strade sicure da percorrere. Ponendomi l’arcano interrogativo se avessi timore della morte, potrei affermare di aver già superato quest’incongruenza che corrode ogni essere vivente. Passaggio inevitabilmente comune a tutti. Solide affermazioni filtrate dalla mia personale esperienza, essendomi imbattuto diverse volte col volto spettrale di lei; poi sfiorata fortuitamente, grazie al destino generoso: suffragato anche dalla mia arguzia esperienza. Questa altamente vissuta. Mi ero contagiato di una malattia rara, non si curava con medici e farmaci ma con strategia e coraggio. Hai visto quanta fortuna possiedo? Il più costretto a vivere diverso , in mezzo a tanti familiari. Trovandomi implicato in questa situazione, patendo fame, freddo, subendo persecuzioni, nonché esaminato fino all’anima. Costretto a difendermi guardingo sulle strade della mia città, (BARI vecchia), senza abbandonarmi alle distrazioni, poiché poteva costarmi la vita. Laddove la forza portava benessere, colpa di una società che governa per il proprio star bene. In ogni città c’è una rete di “cari ragazzi”, legati da denaro e potere, che si estende ovunque come una ragnatela d’acciaio, verso l’alto e verso il basso. Una rete interminabile, che coinvolge più delle volte degli insospettabili, nella buona o nella cattiva sorte. Faide, “FAMIGLIE CONTRAPPOSTE” che si ammazzano per un potere sfruttato, odio trasportato da generazioni, perché l’onore rimbalzi sull’informazione. Le vie verso il centro storico troppo strette per le luminarie, erano addobbate con fili di biancheria colorata che andavano da un capo all’altro delle case. Case vecchie con vicoli stretti, strade a doppie uscite, portoni a tunnel, sono le protezioni per vivere…anziane sedute su sedie a cerchio, sembrano innocue per chi le vede, normale da osservare , sempre vispe, attive, da loro dipende la vita, sanno dare il loro contributo, estraendo l’arma ai loro beniamini per la missione prefissata, poi chissà strapparsi dal dolore perché la cornice sia originale. Donne vestite di nero, al collo foto dei loro cari, coscienti del proprio “DESTINO”. Belle fanciulle, con corpi divini che attirano la preda in un’imboscata, perché anche loro “la danno” e più delle volte sono le armi migliori per vincere senza rumore, senza corpo e traccia. Bambini che giocano a pallone in un giorno come tanti; vittime innocenti, basta uno sguardo e sanno come muoversi, dove ogni vicolo fatiscente nasconde l’arma da consegnare. La BASILICA Di SAN NICOLA, LA CATTEDRALE , IL CASTELLO SVEVO, sono il patrimonio culturale della città vecchia, una meraviglia storica da visitare, che perdono il loro valore per colpa dell’egoismo politico, che non recupera ma emargina i giovani. La mancanza di lavoro, il non far niente, aumenta il bisogno dei giovani che costretti delinquono, scippando i visitatori delle loro borse, così senza accorgersene si trovano coinvolti in una situazione spinosa e articolata, perdendo il valore della vita, mettendola in un gioco di labirinto senza più trovare la via d’uscita. Ad ogni fine agguato, vite segnate col gesso sull’asfalto, coperte da un lenzuolo, circondate da un nastro adesivo, tutto fermo, fotografato, analizzato, esaminato, ripreso. C’era, come consueto, una piccola folla di curiosi dall’altro lato della strada, azzittita dall’evento, grida disperate dei familiari, sirene spietate, si accavalcano in quel drammatico scempio. L’apprensione è facilmente riconoscibile sul volto delle persone, può essere provocata da molte emozioni diverse: simpatia, dolore, delusione, dispiacere, imbarazzo. Una faida che coinvolge tutto e tutti anche senza capirci nulla, l’essenziale che quella foto lì sul comodino abbia un senso. Molti omicidi si risolvevano perché qualcuno commetteva l’errore di vantarsi delle sue prodezze nell’esecuzione, esagerando l’entità dell’agguato. Le voci arrivavano alle orecchie degli informatori, che vendevano il colpevole ai poliziotti in cambio di qualche favore. Ma c’è certamente un punto da non sottovalutare in questo mio racconto che non viene mai evidenziato; sappiate che almeno l’80% delle grandi famiglie cosiddette mafiose hanno tutte un loro congiunto che è un collaboratore di giustizia, sembra certamente fuori da ogni previsione ma vi assicuro che è realtà, che regna nella città vecchia attualmente. Collaboratori di giustizia che mescolando verità e bugie, dopo aver peccato più di altri sono aiutati dalla legge, beneficiando d’ottimi sconti di pena e riscotendo splendide paghe mensili, invece che subisce tutte queste angherie, deve soffrire, tacere, e patire tutte le ingiustizie di questo sistema. Ecco vi due pesi, due misure, gli esseri umani liberi, gli animali in gabbia. Alla parte collaborante si tende tutto il braccio, invece al perseguitato non c’è viso umano. Un viale con una comoda strada scende fino al cimitero dove molti di quegli sguardi sono fissati per sempre lapidi più o meno appariscenti, e il mio andare e venire ora è popolato da un silenzio acuto, insostenibile. Pervasi dal dolore, allo stesso tempo travisano rituali fiori con pensieri cagionevoli verso i nemici, cercando fosse accoglienti nelle quali possano ospitarli; semmai mascherando pianti sinceri donando loro anche una corona costosa in segno di “Viva soddisfazione”. Rimasi distratto da un profumo troppo forte per quel luogo, marmi lucidi, costosi; più finti ancora dei fiori di plastica sempre in scema. Come vedi da quel giorno in cui, sotto questa terra sei sepolto io amandoti ne parlo. Un amico in una bara, rimarrà giovane la sua età per sempre, come il suo volto nel mio pensiero. Angosciante racconto di un amico pianto, amato e mai dimenticato. Chi ho conosciuto e amato, mi ha amato e conosciuto senza essere deluso, ma mai nessuno sino ad oggi ha poi capito, che sofferente, il deluso sono IO. Non so se da morto potrai tornare su questa terra e muoverti invisibile tra coloro che ti hanno amato, ma se fosse possibile, allora so che sarai sempre con me. Nei miei sogni ascolto la tua voce, la tua mano sfiora il mio viso, sarà il tuo spirito che mi passa vicino. Tu non te ne sei andato per sempre, a prescindere da chi entrerà nella mia vita. Tu sei con Dio, accanto alla mia anima, e mi guidi verso un futuro che non so provvedere. Non mi ero distratto ad un grido disperato, perché molti occhi parlavano da soli. All’improvviso, urla, pianto, grida; disperato appello di una madre infranta nello straziante dolore, perché non è tutto qui, c’è una vita che muore e non è la sola lì. “questo è un luogo sicuro pregno di verità e giustizia”. Non credevo ai miei occhi mentre lo guardavo, mi chiedeva aiuto, ma incantato rimasi al centro della bara, avvolto dai nostri bei momenti che da quell’attimo erano rimasti in una preghiera. In chiesa, dove sofferente ti recai sulle spalle ho anche pianto ma avevo, per come ti amo io ma anche un dubbio, poiché ho visto la tua bara chiudersi e molta gente strana tutta intorno. Come vedi carissimo amico mio la gioia non deve far dimenticare che il dolore è sempre in agguato. Eravamo in molti, nessuno piangeva, nessuno parlava, piccoli gesti per intenderci, l’affronto ci offuscava la vista e dovevamo ribattere il torto subito! Vedo anche bellezze non conosciute che si affacciano sulla scena e rivedo in loro il mio carico con entusiasmo, le mie stesse ingenue speranze… distolto lo sguardo, tra rabbia e vendetta, accarezzai l’arma che portavo sempre con me, perché mi donava protezione, fiducia in quel luogo così spaventoso per uno che non si fidava di nessuno, se non di pochi. Non hai angoli in cui nasconderti e tavoli sotto cui accucciarti. Alla fine della cerimonia li vidi allontanarsi sulla striscia dei viali, ricoperti da cappelli e ombrelli, alzai lo sguardo in alto, su un cielo che insolitamente prometteva pioggia. Sul marciapiede la pioggia aveva trasformato la polvere in fanghiglia . un colore verde intenso e un fondo lucente, un luogo smeraldo e oro, dove le nuvole galleggiavano sull’acqua. Tutti se ne andarono uno dietro l’altro in un pellegrinaggio muto, il silenzio aveva il colore bianco delle corone dei fiori che bagnati erano lungo le scale della chiesa. La mia mente correva tra i ricordi, quelli interi e quelli frammentati, come un tempo facevano i suoi piedi sull’erba fragrante e sulla terra calda, tra i campi di grano e le canne fruscianti, mentre in alto nel cielo azzurro si gonfiano le nubi bianche dei temporali. Rimasi solo sotto la pioggia che neanche mi bagnava, quel giorno le mie lacrime scendevano dal cielo. Struggenti lacrime incorporate nel mio corpo, oppresso da odio e rancore, dove la vita delle persone è controllata da un apparato tanto efficiente quanto disumano. Travolgente destino inaspettato a senso unico, ti coinvolge senza ritorno, amico mio. Sono soltanto un uomo che si arma, nei casi in cui costretto dall’uomo, devo difendermi. Il combattente sente l’angoscia della morte prima della battaglia, ma non durante la lotta, appunto perché lotta, agisce. Non dico nulla, se parlasi dovrei piangere. Non credermi ma è verità. Molto non ci sono più, molti mi mancano, veri amici di un destino con due strade, tombe da curare assiduamente che racchiudono corpi trivellati, bucati; dopodichè seguono corpi viventi che nonostante TRADITI, immagazzinati, contati, selezionati, visitati, adocchiati persino nei momenti intimi. E’ questa l’altra morte seppure viventi di quelli che sono sfuggiti al crudele destino. Tutti perdenti, seppelliti con terra e matricola, figli di un’ITALIA SPRECONA E INSAZIABILE, che si ciba ingrassando ma non tende mai la mano. Non prendiamo in giro: vivere così non è per nulla comodo, soprattutto se vogliamo andare oltre le belle parole. Senti, la vita ha un senso, un senso unico; va in avanti, non c’è moviola. Per questo bisogna riflettere, errare è umano far finta di niente è ancora peggio. E’ pur vero che “tutto va verso la luce”, ma adesso la posta in gioco è la mia vita, la battaglia del mio esistere. “avere un tempo nelle mani per me è già un regalo”, ma questo tempo è un continuo alternarsi di luci e ombre. Scadenza oltrepassata oppure da attendere ancora? Non conosco la risposta a queste domande, per quanto mi sforzi di comprendere. La ragione è semplice, ma la mia mente mi obbliga a scartarla e l’angoscia tormenta ogni ora questa mia prigionia. Una cosa voglio; continuare si questa via e rispondere con adesione a quello che Dio mi chiede, in modo che possiamo trovarci tutti in un presente migliore. N.B. Mettere a crudo la realtà non è facile, esprimerla fa capire che bisogna aiutare chi vive incoscientemente in un ambiente che ci ha coinvolto come un incidente automobilistico che tu guardi. E te ne vai. Fermati abbiamo bisogno anche di te, che non puoi darci molto; però ascoltaci ci sentiremo fiduciosi nel credere che esiste UMANITA’ e non indolente indifferenza.
Per chi desidera corrispondere con me: detenuto Ranieri Nicola nato a Bari il 01.04.1964, detenuto nella casa di reclusione di Spoleto, in via Maiano n.10 Spoleto PG. Cap.06049.
Ringrazio di avermi letto, ma sappiate che non c’è fantasia ma realtà vissuta.
Nicola Ranieri
COSA CERCO
Cerco qualcuno che mi insegni
un lavoro, così la smetto di
guardare il soffitto.
Cerco lo spazio per dare il meglio
di me, per sconfiggere la pigrizia.
Cerco la vita e non la morte,
cerco una pena che mi dia un futuro
e non un futuro che sia retorico.
Cerco un reinserimento e non che
diventi una pianta da annaffiare.
Cerco umanità, e non disumanità.

positivo, mentre cerco..
la negatività si prende gioco di me
e di te che credi a questo stato.
Nicola Ranieri
29 – 10- 2010
Ciao Alfredo;
ti informo che mi hanno trasferito nel carcere di Fossombrone.
Qui prima era un convento ed è un carcere alquanto squallido, umido e insostenibile. Questo è l’unico carcere che ha le celle da solo, ma poterle descrivere è alquanto complesso, perché fanno veramente schifo.
Purtroppo tutti i pensieri che avevo fatto li ho persi tutti, perché qui non entra il computer fisso, ed ho perso tutto il lavoro e tutti gli indirizzi. Ti ringrazio di avermi scritto.
Ti parlo di questa struttura che mi ospita. Ci sono tre piani che ospitano su per giù 20 detenuti a piano. Ma si vive veramente da CENTRO RIANIMAZIONI. La cella è fatiscente, stretta, con il bagno alla turca, e non ti puoi neanche girare. Non c’è niente di legno, sgabelli di plastica, quelli che usano i bambini in spiaggia. Bilancetta di ferro, tavolo di ferro, colore verede… Insomma.. un vero schifo. Pareti vuote, umide, che accolgono zanzare sempre pronte a succhiarti il sangue. Celle sempre chiuse, considerando che in un piano siamo su per giù 20 detenuti. Non c’è niente di buono in questo carcere.
DEVI STARE SEMPRE CHIUSO, IN CELLA.
DOVE E’ IL RECUPERO? DOVE E’ IL REINSERIMENTO?
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