sabato 16 aprile 2011

"Restituire il voto ai detenuti". Strasburgo bacchetta l'Italia


Negare il diritto di voto a chi è stato penalmente 
condannato costituisce una violazione dei diritti umani.
Lo scorso martedì la Corte europea ha intimato all'Italia di rivedere la propria legislazione in materia di diritto di voto alle persone detenute. Il caso è quello di Franco Scoppola, classe 1940, condannato all'ergastolo per avere ucciso la moglie.
L'articolo 28 del codice penale prevede che chiunque sia condannato a pene superiori a cinque anni incorra nella pena accessoria della interdizione dei pubblici uffici, la quale lo priva la persona condannata del diritto di elettorato o di eleggibilità nonché di ogni altro diritto politico. Il successivo articolo 29 prevede che la condanna alla reclusione per un tempo non inferiore a tre anni includa l'interdizione dai pubblici uffici – e la conseguente perdita del diritto di votare - per la durata di anni cinque.
Secondo i giudici di Strasburgo – che hanno ripreso una giurisprudenza consolidata formatasi in una lunga diatriba con il governo inglese – le norme italiane confliggono con l'articolo 3 del protocollo numero 1 della Convenzione europea del 1950 che sancisce il diritto universale di partecipare a libere elezioni. 
La Grande Camera, che ha preso questa decisione storica, era presieduta da Françoise Tulkens (belga). Nel collegio c'era anche l'italiano Vladimiro Zagrebelsky. Secondo la Corte negare il diritto di voto durante la detenzione o dopo la fine della pena costituisce «un'automatica e indiscriminata restrizione di un diritto di vitale importanza sancito dalla Convenzione europea». Non è stato previsto un risarcimento economico a favore del ricorrente in quanto si è ritenuto già di grande impatto l'indicazione rivolta alle autorità italiane di modificare la legge.
Nel 2004 la Corte aveva iniziato un lungo braccio di ferro con l'Inghilterra. La Corte di Strasburgo affermò che non ci potessero essere ragioni di sicurezza per vietare il diritto di voto. Il divieto legittima una funzione retributiva e vendicativa della pena. La Corte richiamò l'articolo 10 del Patto sui diritti civili e politici delle Nazioni Unite del 196 secondo cui «il regime penitenziario deve comportare un trattamento dei detenuti che abbia per fine essenziale la loro rieducazione e la loro riabilitazione sociale». La partecipazione alla vita politica è uno dei cardini del reinserimento sociale di un detenuto. Precedentemente la Corte suprema canadese nella decisione Sauvé v the Attorney General of Canada, aveva affermato «l'incostituzionalità di una disposizione che privava del diritto di voto ogni persona detenuta in quanto il diritto di voto è fondamentale per la democrazia».
Per quanto riguarda il governo inglese, la nuova maggioranza conservatrice guidata da David Cameron ha annunciato a fine 2010 – dopo sei anni di guerra giudiziaria con Strasburgo – che malgrado la propria contrarietà, consentirà ai detenuti condannati a una pena inferiore ai quattro anni di votare alle elezioni politiche e europee modificando la legge in vigore risalente al 1870.
Sono pochi e solo dell'est i paesi europei che vietano il voto ai detenuti. In Italia ora si dovrà aprire un dibattito politico e legislativo per evitare il contenzioso con Strasburgo. Si può ragionevolmente ritenere che se ha ceduto l'Inghiliterra cederà anche l'Italia. D'altronde nell'ultima bozza di riforma del codice penale la Commissione presieduta da Giuliano Pisapia aveva proposto il superamento delle pene accessorie. Lo stesso Pisapia, nella sua veste precedente di deputato, aveva presentato proposte di riforma del codice penale al fine di assicurare il diritto di voto a chiunque fosse in stato di detenzione.
In Italia, infine, stenta a essere poco assicurato nella pratica il diritto di voto a quei detenuti in custodia cautelare o condannati a pene brevi ai quali invece spetterebbe formalmente.
 Alle ultime politiche sono stati 1.368 i detenuti che hanno votato sui circa 17 mila aventi diritto, ossia meno del 10%. Il maggior numero di votanti fu registrato nelle carceri del Lazio: 353 (250 nelle quattro strutture della Capitale); seguirono Lombardia 172; Triveneto 127; Campania 108; Sardegna 107; Piemonte - Valle d'Aosta 86; Sicilia 76; Toscana 76; Calabria 64; Emilia Romagna 59; Puglia 38; Marche 33; Liguria 24; Abruzzo e Molise 23; Umbria18; Basilicata 4.
La procedura è complicata e sconosciuta ai detenuti i quali devono presentare, entro il terzo giorno precedente la votazione, al sindaco del Comune nelle cui liste elettorali sono iscritti, una dichiarazione della propria volontà di esprimere il voto nel luogo in cui si trovano, con in calce l'attestazione del direttore del carcere comprovante la detenzione.
 Solo così può ottenere l'iscrizione in un apposito elenco speciale e ricevere la tessera elettorale. Il diritto in questo modo viene negato dalla burocrazia e non dalle leggi.
Articolo apparso su Italia Oggi il 20 gennaio 2011

(21 gennaio 2011)

STRASBURGO, 18 GEN –
 L’Italia non può togliere automaticamente il diritto di voto ai condannati,
 così come prevede oggi la normativa (Dpr 223/1967) nell’ambito dell’interdizione dai pubblici uffici per pene superiori ai cinque anni. Lo ha stabilito oggi la Corte europea dei diritti dell’uomo nella sentenza emessa per la causa intentata da Franco Scoppola contro Italia.
Nella sentenza i giudici di Strasburgo hanno sottolineato che 
un divieto generalizzato del diritto di voto per i detenuti e i condannati costituisce un «automatica e indiscriminata restrizione di un diritto di importanza vitale»
 e che quindi questa misura cade al di fuori dei margini di manovra consentiti a uno Stato, per quanto ampi questi possano essere. 
Secondo la Corte la decisione di togliere il diritto di voto dovrebbe essere presa caso per caso e motivata.
La sentenza diventerà definitiva solo tra 3 mesi
 e il governo o il ricorrente hanno ancora la possibilità di presentare ricorso.
 Ma non è la prima volta che i giudici di Strasburgo intervengono su questa materia. Nel 2005 la Grande Camera dela Corte ha condannato la Gran Bretagna per lo stesso motivo e ora Londra sta modificando la sua normativa in materia di voto ai condannati.
Questa è la terza volta che Franco Scoppola – giudicato colpevole dell’omicidio di sua moglie e del ferimento dei due figli – si rivolge alla Corte e vince. Con il primo ricorso fece condannare l’Italia per le condizioni inumane della sua detenzione a Regina Coeli, mentre con il secondo è riuscito a far commutare il suo ergastolo in 30 anni di prigione. (ANSA)


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