L’ultima visita nella Casa Circondariale di Viterbo era avvenuta il 13 maggio del 2005 e ricordavamo un clima di totale abbandono e trascuratezza: pattumiera del Lazio veniva così definito dall’Ispettore che ci accompagnava. Il sovraffollamento era a livelli massimi: tutte le celle, singole molto piccole, adibite a doppie. I detenuti sempre chiusi; attività trattamentali inesistenti.
Torniamo a Mammagialla il 31 ottobre e questa volta incontriamo il Direttore: ci parla di un carcere il cui problema principale è il grande numero di detenuti ad alta pericolosità, con patologie, a volte anche psichiatriche, di disadattamento, convogliati qui da tutto il Lazio. Situazione questa che giustificherebbe l’alto numero di suicidi registrati negli ultimi anni, come quello diM., il detenuto che a marzo si è impiccato con un lenzuolo alle sbarre della cella, oppure
quello di un arabo che nello scorso anno si è ugualmente suicidato, o un tossicodipendente che si è tolto la vita inalando gas. Tutti eventi che, secondo il direttore, derivano dai contesti familiari. (??????????? n.d.r.)
Grazie all’indulto sono uscite circa 200/210 persone, per cui si è scesi dai precedenti 680 detenuti a 480/470, in un istituto in cui, comunque, la capienza regolamentare è di 285 posti.
Durante il colloquio vengono elencate le attività trattamentali organizzate: un progetto agricolo, con una cooperativa esterna (Zafa) e l’Università dellaTuscia, che si sviluppa in un terreno esterno
(Zona Palanzana), in una serra interna e in un allevamento di conigli; la rilegatoria, la falegnameria, l’officina fabbro e la sartoria.
Quello che riscontriamo nel corso della visita ci prospetta una realtà ben diversa.
Innanzitutto gli effetti dell’indulto sono vanificati dalla chiusura di una parte dell’edificio per lavori di ristrutturazione, non ancora avviati, per cui troviamo che i detenuti sono sistemati ancora in due
per cella.
Constatiamo che non esiste il Servizio nuovi giunti anche se la Direzione ha fatto più volte richiesta di finanziamenti per gli specialisti. C’è, però, la Sezione nuovi giunti: una sezione molto buia, affianco a quella di isolamento disciplinare, di fatto vuota al momento della nostra visita a parte un agente e un detenuto, accusato di aver ucciso un compagno di cella, che da anni passa dall’OPG al carcere.
Esiste effettivamente il progetto agricolo, ma coinvolge solamente 3 o 4 detenuti. Mentre la falegnameria, la sartoria, l’officina fabbro e la rilegatoria risultano chiuse.
Oltre a tutto ciò è evidente il degrado: docce fatiscenti, celle per la socialità e per le attività trattamentali chiaramente in disuso, corridoi in degrado, passeggi piccoli e angusti, assenza di personale. Nel corso della visita non incontriamo nessuno.
Prima di andarcene passiamo per l’infermeria. Lì ci sono due agenti, un medico e un infermiere. Impossibile capire il numero di detenuti tossicodipendenti, alcool-dipendenti e affetti da HIV presenti e i trattamenti somministrati.
Lasciandoci alle spalle le mura di Mammagialla condividiamo in pieno, sebbene amaramente, le parole del direttore che all’inizio del colloquio ci diceva che riuscire ad avere due o tre suicidi l’anno è un risultato roseo!
(osservatrici:R.Bortolozzi, S.Filippi)
Torniamo a Mammagialla il 31 ottobre e questa volta incontriamo il Direttore: ci parla di un carcere il cui problema principale è il grande numero di detenuti ad alta pericolosità, con patologie, a volte anche psichiatriche, di disadattamento, convogliati qui da tutto il Lazio. Situazione questa che giustificherebbe l’alto numero di suicidi registrati negli ultimi anni, come quello diM., il detenuto che a marzo si è impiccato con un lenzuolo alle sbarre della cella, oppure
quello di un arabo che nello scorso anno si è ugualmente suicidato, o un tossicodipendente che si è tolto la vita inalando gas. Tutti eventi che, secondo il direttore, derivano dai contesti familiari. (??????????? n.d.r.)
Grazie all’indulto sono uscite circa 200/210 persone, per cui si è scesi dai precedenti 680 detenuti a 480/470, in un istituto in cui, comunque, la capienza regolamentare è di 285 posti.
Durante il colloquio vengono elencate le attività trattamentali organizzate: un progetto agricolo, con una cooperativa esterna (Zafa) e l’Università dellaTuscia, che si sviluppa in un terreno esterno
(Zona Palanzana), in una serra interna e in un allevamento di conigli; la rilegatoria, la falegnameria, l’officina fabbro e la sartoria.
Quello che riscontriamo nel corso della visita ci prospetta una realtà ben diversa.
Innanzitutto gli effetti dell’indulto sono vanificati dalla chiusura di una parte dell’edificio per lavori di ristrutturazione, non ancora avviati, per cui troviamo che i detenuti sono sistemati ancora in due
per cella.
Constatiamo che non esiste il Servizio nuovi giunti anche se la Direzione ha fatto più volte richiesta di finanziamenti per gli specialisti. C’è, però, la Sezione nuovi giunti: una sezione molto buia, affianco a quella di isolamento disciplinare, di fatto vuota al momento della nostra visita a parte un agente e un detenuto, accusato di aver ucciso un compagno di cella, che da anni passa dall’OPG al carcere.
Esiste effettivamente il progetto agricolo, ma coinvolge solamente 3 o 4 detenuti. Mentre la falegnameria, la sartoria, l’officina fabbro e la rilegatoria risultano chiuse.
Oltre a tutto ciò è evidente il degrado: docce fatiscenti, celle per la socialità e per le attività trattamentali chiaramente in disuso, corridoi in degrado, passeggi piccoli e angusti, assenza di personale. Nel corso della visita non incontriamo nessuno.
Prima di andarcene passiamo per l’infermeria. Lì ci sono due agenti, un medico e un infermiere. Impossibile capire il numero di detenuti tossicodipendenti, alcool-dipendenti e affetti da HIV presenti e i trattamenti somministrati.
Lasciandoci alle spalle le mura di Mammagialla condividiamo in pieno, sebbene amaramente, le parole del direttore che all’inizio del colloquio ci diceva che riuscire ad avere due o tre suicidi l’anno è un risultato roseo!
(osservatrici:R.Bortolozzi, S.Filippi)
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