sabato 9 aprile 2011


Tra le carceri italiane: testimonianza di un ex detenuto

di virgilio_95 (Medie Superiori ) scritto il 26.01.11

Sabato 22 Gennaio 2011 nell’aula magna del liceo classico “P.V.Marone” di Gioia del Colle si è tenuto un incontro con l’avvocato Carlucci, avvocato penalista, e Massimo, un ex detenuto pugliese. L’avvocato Carlucci, prima di lasciare la parola a Massimo, ha fatto un’introduzione parlando della situazione attuale delle carceri italiane, e con la testimonianza diretta di Massimo abbiamo potuto meglio comprendere questa dura realtà. Questo argomento presentato dal dottor Carlucci ha subito saputo “prendere” noi ragazzi ginnasiali, e abbiamo rivolto varie domande a Massimo, incuriositi dalla sua esperienza. L’avvocato Carlucci ha detto che alla base di determinate realtà ci sono diverse situazioni familiari che inducono qualcuno a commettere reato. Infatti Massimo ha detto di avere avuto un’infanzia “diversa”. Lui era l’ultimo di undici figli ed è stato affidato subito a sua nonna. Quindi ha vissuto con sua nonna fino all’età di sette-otto anni, quando a causa di un litigio tra la mamma e la nonna, è stato costretto ad andare a vivere a casa “sua” con i suoi genitori e i  fratelli. Per Massimo è stato una sorta di trauma, perché per lui sua nonna era stata una  madre. Quindi a casa con i fratelli si sentiva quasi un estraneo. Dentro di sé allora cominciò a covare una “vendetta” nei confronti della società. A casa si comportava bene, mentre fuori, con gli altri, si comportava male. A quindici anni la morte della nonna è stata per lui una “sconfitta”…così iniziò a frequentare “certa gente”, e finisce nei guai. A diciotto anni viene arrestato per spaccio di droga. Ciò è avvenuto agli inizi degli anni ‘90. E’ restato in carcere per sette anni. Prima nel carcere di Bari, poi trasferito in quello di Chieti. La vita di Massimo nel carcere era questa: viveva in una stanza 6 metri per 6 che condivideva con altri 11, quindi in questa piccola stanza c’erano 12 letti, e quindi anche 12 armadietti, un tavolo, e bisogna considerare anche il fatto che da questi pochi metri quadrati si ricavava il bagno, separato da una tendina, e la cucina. Non si poteva stare alzati tutti insieme perché non c’era spazio. Si faceva a turno. Vigeva la legge del più forte, anche se, ci racconta Massimo, la sera sotto le coperte anche il più forte si toglieva la maschera e piangeva pensando alla propria vita, alla famiglia che stava fuori, ai ricordi che riaffioravano alla mente. Tra i detenuti potevano nascere complicità, ma bisognava stare attenti perché questa complicità poteva essere intesa come la complicità per commettere un nuovo reato. All’interno di un carcere dovrebbero esserci iniziative per avviare i detenuti alla  vita lavorativa, ma, da quanto ha dedotto Massimo con la sua esperienza, si tratta solo di corsi fatti per occupare il tempo, perché qualcuno qualificato non riesce invece a lavorare. Per combattere la noia giocavano a carte o a mosca cieca. Mi ha fatto molto riflettere e addirittura commuovere quando Massimo ha detto di aver provato meraviglia quando, durante il trasferimento dal carcere di Bari a quello di Chieti, ha visto il mare dopo molto tempo che era chiuso in carcere e anche una farfalla bianca. Mi ha fatto capire come è dura per un detenuto far trascorrere il tempo…in carcere si contano non solo i giorni, ma anche le ore, i minuti, forse addirittura anche i secondi!! Ora Massimo è un uomo “libero”, anche se lui sente comunque di avere quel macigno addosso, un macigno che non andrà mai via. Ma ora vive una vita normale, come tutti gli altri, con sua moglie, sua figlia, il suo lavoro e i piccoli problemi di tutti i giorni.
Questa è in breve la storia di Massimo. Massimo ha pagato i suoi errori, ha scontato la pena, ma è normale che le condizioni delle attuali carceri italiane siano queste??? E’ normale che dodici persone debbano vivere in una stanza di soli sei metri per sei??? Non dimentichiamo che anche quelli che commettono reati sono uomini, come noi. Certo è giusto che paghino…devono pagare…ma ciò non significa avere il diritto di calpestare la dignità di queste persone. Io credo che un uomo a cui viene calpestata la dignità non sia più nessuno. L’incontro con l’ex detenuto Massimo ha fatto molto riflettere un po’ tutti, e per ringraziarlo gli abbiamo regalato un lungo e fragoroso applauso…

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