giovedì 5 maggio 2011

La giustizia in prigione


05-05-2011
Caro Colombo, abbiamo ascoltato il ministro della Giustizia Alfano snocciolare i numeri della attività in ambito penitenziario: "Abbiamo emesso tot provvedimenti di sottoposizione al regime del 41 bis, abbiamo creato tot nuovi posti in carcere senza la necessità di fare indulti" e altre cose del genere. Come se l'emissione di quei provvedimenti di carcere duro siano un motivo di vanto e non una debolezza della nostra società, a meno che la società italiana non ritenga la tortura un vanto. Mentre i posti che l'on. ministro dice di avere creato sono quelli diventati tre in una cella dove dovrebbe stare un solo detenuto, aumentando così il rischio che le carceri esplodano irrimediabilmente. Fermate il massacro e riportate la legalità nelle carceri. 
Francesco
La lettera a cui sto rispondendo viene da un carcere (Milano) ed è molto più lunga. Affronta il caso di Calisto Tanzi, che, circondato dalla sua armata di avvocati, è riuscito finora a non entrare neppure per un giorno in prigione. Cita il celebre Totò Cuffaro, che, a quanto dice il detenuto Francesco (che firma con nome e cognome), è stato subito accolto nel reparto G8 di Rebibbia che, precisa la lettera, non è un albergo a cinque stelle. Però "in quel reparto sono attuati tutti i regolamenti e le garanzie e il rispetto che la legge, teoricamente, stabilisce per ogni detenuto", e che, in realtà sono negati a tutti gli altri ("tranne a chi ha santi in Parlamento"). La prima cosa che mi ha colpito, in questa lettera, oltre all'evidente, sincero sfogo di verità, è il linguaggio. Lo avranno notato anche alcuni lettori. È il linguaggio dei Radicali, la radio e i politici, come Rita Bernardini e Marco pannella, che erano in giro per le carceri italiane anche pochi giorni fa (per esempio il giorno di Pasqua). So benissimo ciò che altri parlamentari potrebbero osservare a questo punto: in carcere ci andiamo anche noi, per vedere, sapere e testimoniare. È vero. Ma solo i Radicali ne hanno fatto uno dei loro principali impegni politici. Francesco lo dice con chiarezza, un po' disperata che, purtroppo, suona realistica: le carceri stanno per esplodere. Perché gli altri (i partiti, i movimenti politici di opinione, il governo, le opposizioni) non lo vedono e non dedicano tempo ed energia a un problema così grave e urgente? Costa, certo. Ma è un problema che non va via, e che viene trattato come le scorie quando ti parlano della modernità del nucleare (poi si vedrà, si troverà certo una soluzione, ti dicono) o dei rifiuti urbani che, oltre una certa soglia di trascuratezza, diventano assedio inestricabile e forte minaccia. Qui però c'è di mezzo, due volte, il valore e la dignità della vita umana: salvarla ma poi garantirla, giorno per giorno, in quel lunghissimo percorso (lunghissimo anche se dura solo un anno) che è il vivere in prigione. Non occorre santità o altruismo per dedicarsi a questo grave problema della Repubblica (ma anche della sua dignità, della sua immagine). Occorre un nitido senso politico, occorre sapere che nessun problema si risolve da solo, meno che mai quelli che coinvolgono centinaia di migliaia di vite umane. Da una parte c'è la voce di Francesco, che non andrà via, non smetterà di chiedere civiltà. Dall'altra c'è un disinteresse pericoloso e difficile da spiegare perché esteso e, disgraziatamente, bipartisan. Quanto durerà l'attesa che qualcuno, oltre ai Radicali, veda all'improvviso tutta la gravità di questo problema? Certo, mentre scrivo se ne sta discutendo alla Camera. Ma non preoccupatevi, passa subito. Anzi, un minuto dopo, il futile problema è già stato rinviato a nuova data.
*da Il Fatto Quotidiano

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