domenica 31 luglio 2011

”Non lo voglio io, lo vuole lo Stato e voi tutti dovete obbedire”.



Il corpo di polizia penitenziaria rappresenta l’interfaccia tra lo Stato ed i detenuti, tra il rigore e la severità nel rispetto delle leggi e la fragilità e la precarietà di una condizione umana di grande disagio e di restrizione.
Ricordo il primo giorno, alla prima ora d’aria, l’addetto alla sorveglianza giustificarsi di alcuni divieti senza senso, nel richiamarsi solennemente allo Stato e alle sue regole, del quale egli si sentiva evidentemente un umile, quanto efficace, servitore.
”Non lo voglio io, lo vuole lo Stato e voi tutti dovete obbedire”.
La libertà e la salute sono i beni supremi dell’uomo e quando sono compromessi l’individuo si sente smarrito.
Negli ospedali, dove a vacillare è la salute, gli infermieri rappresentano l’equivalente dei secondini, ma i primi si configurano agli occhi del malato come un’ancora di salvezza a cui aggrapparsi fiduciosi e sono pervasi da una volontà di aiuto e di donazione sconosciuti ai secondi, i quali interpretano il loro impegno in maniera diametralmente opposta, applicando pedissequamente un regolamento in alcuni passi di ottusa severità e penosamente coercitivo, dando così luogo ad un pessimo rapporto di tipo autoritario con i sottoposti e soffocando l’atmosfera boccheggiante che si respira nei nostri penitenziari, nei quali per migliorare la vivibilità bisogna agire più sull’uomo che sulle strutture.
Le mie conclusioni sono state formulate dopo pochi giorni di esperienza, per cui dovrebbero avere un valore probatorio trascurabile, ma sono suffragate dall’esperienza dei tanti detenuti che mi hanno confidato i loro lunghi anni trascorsi in svariati luoghi di pena della penisola, dove il rapporto di presunta sudditanza è costantemente vissuto con malinconica rassegnazione.
Spesso anche negli ospedali, prevalentemente al sud, vi è la consuetudine, segno di pessima educazione, da parte del personale medico e paramedico di dare del tu al paziente, ma a volte in questo eccesso di confidenza vi è anche lo scopo di familiarizzare con il malato e di accollarsi parte delle sue sofferenze; a Poggioreale, viceversa, il tu sistematico ed è lo specchio di una subordinazione assoluta che il Potere… vuole infliggere al detenuto. Non credo che la legge o i regolamenti carcerari diano precise istruzioni in materia. Sono o dovrebbero essere lontani i tempi del Fascismo, quando s’imponeva ai cittadini l’uso del voi, mentre il lei, come magistralmente ci ricordava Totò, era stato abolito.
Sembra una questione secondaria che forse ha toccato solo la mia sensibilità, ma vi assicuro, essere chiamati sprezzantemente col tu da un figuro forse in possesso della licenza media, quando si hanno alcune lauree, provoca una mortificazione ed un senso di perdurante impotenza che non facilita l’instaurarsi di un rapporto con il personale di custodia, il quale dovrebbe essere sereno e di fattiva collaborazione.
Sentivo i miei compagni di cella, nei rari casi di necessità, chiamare le guardie pomposamente “assistente” e sorridevo sardonico, perché mi sembrava un titolo inutilmente adulatorio, ma quando è capitato a me di dovermi rivolgere loro non ne ho trovato uno più appropriato.
L’impressione negativa che ho maturato sul comportamento del personale di custodia ha come sempre le sue eccezioni, tra le quali rammento volentieri “Baschillo”, un agente soprannominato in tal guisa per l’insolita abitudine di tenere il basco d’ordinanza nei galloni della spalla sinistra; un personaggio di grande umanità e simpatia da me incontrato spesso nella zona dedicata ai colloqui con l’avvocato. Più di una volta è capitato, se eravamo da soli, che m’invitasse a camminare più lentamente, affinché potessimo scambiarci qualche confidenza e potesse chiedermi qualche consiglio medico o di vita.
Rammento la luce che comparve gioiosa nei suoi occhi quando gli dissi che lo avrei ricordato nelle pagine del mio libro.
Personalmente, per una patologia al tallone, avevo un permesso medico, segnato sulla cartella clinica, di poter circolare con dei sandali aperti al posto delle scarpe. Almeno cento volte sono stato richiamato e ho dovuto spiegare la situazione, trenta o quaranta volte sono stato ripreso perché mettevo la mano in tasca, una cosa ritenuta molto grave, indice inequivocabile di comportamento strafottente e bisognava umilmente giustificarsi con la necessità di prendere il fazzoletto per una rinite allergica, la quale non mi ha lasciato in pace un minuto; credevo inoltre che le mani dovessero tenersi dietro la schiena nel camminare o al passaggio delle guardie, mi sbagliavo ed anche per questo sono stato ammonito, alla fine non sapevo dove metterle.
A me francamente tutti questi richiami, ossessivi e ripetitivi, sono sempre sembrati delle inutili stronzate, forse previste dal regolamento, ma allora bisogna impegnarsi a cambiarle quanto prima queste norme ottuse ed inutilmente persecutorie.
Un infermiere, per ritornare al paragone iniziale non si permetterebbe mai di redarguire un paziente ed in queste apparenti inezie vi è la sostanziale differenza tra assistenza (ma non li chiamiamo così, assistenti? E pare sia di loro gradimento) e la petulante imposizione di astratti comportamenti.
Nell’immaginario comune i carcerati sono configurati con un più o meno elegante abito a strisce, una sorta di pigiama fin de siecle, viceversa è concesso vestirsi con una certa libertà, non certo in calzoncini e canottiera, ma abbastanza casual, gli agenti, non parliamo poi dei graduati, hanno invece l’obbligo di vestire in maniera molto severa e coprente, con baschi e cravatte, per cui anche loro sono costretti a soffrire il caldo e più di uno, in gran segreto, mi ha pregato di segnalarlo.
Probabilmente si riuscirebbe ad ottenere una migliore e più gradita vivibilità cambiando qualche passo del regolamento penitenziario, più che avventurandosi in faraonici e dispendiosi programmi di ristrutturazione dei bagni penali.
I direttori possono di loro iniziativa prendere qualche provvedimento, anche se le norme sono farraginose e la possibilità di variarle da parte dei funzionari è modesta; Come appare lontana la pur vicina geograficamente Svizzera, dove, in particolare nel Canton Ticino, grazie ad una politica federale che privilegia l’autonomia e quindi anche il decentramento nel settore dell’esecuzione delle condanne, si è riusciti a trovare una soluzione a molti problemi, incluso quello fondamentale dell’affettività in carcere, privilegiando il contatto diretto con le persone care. E questo a partire quasi subito dopo l’inizio dell’esecuzione delle sentenze.
Sembra fantascienza ma è realtà, ritorneremo sull’argomento nell’appendice quando parleremo di Amore al tempo della galera.

Fonte : Le tribolazioni di un innocente - Breve ma intenso viaggio nell'inferno del carcere di Poggioreale - di 

                                                                                                                        Achille della Ragione



Ecco perchè sono per l'amnistia


Amnistia
perché sono favorevole
5 milioni di processi rischiano la prescrizione, l'amnistia almeno ne salverebbe qualcuno
L'amnistia estingue sia il reato sia la pena, cosicché il certificato penale dell'imputato rimane immacolato. È prevista dall'art. 151 del codice penale e consiste nella rinuncia, da parte dello Stato, a perseguire il reato. Si tratta di un provvedimento di clemenza ispirato, almeno originariamente, da opportunità politica e pacificazione sociale, ma a volte diventa strumento di sfoltimento delle cause pendenti e delle carceri. Spesso l'amnistia è concessa a prescindere dal tipo di reato e guardando solo alla pena massima prevista, cosa che ritengo ottimale e giustissima; ma di recente si tendono a escludere alcuni reati che, pur rientrando negl'anni di pena aministiabili, si suppongono più gravi di altri o meno tollerabili dall'opinione pubblica.
Non che si voglia compiangere l'amnistia di Togliatti del 22 giugno 1946, un vero e proprio colpo di spugna sui crimini fascisti, ma oggi il vero problema è che bisogna decidersi: o si continua a essere puri e duri, a volere la certezza della pena, il carcere punitivo, i delinquenti tutti alla sbarra e una società intollerante... oppure si ragiona secondo logica.
Mi spiego: l'Italia ha il più alto numero di articoli del codice penale al mondo (ad oggi: 734 solo nel primo Libro , "dei reati in generale", e i Libri sono tre). Questo significa che la convivenza italiana è spulciata nei minimi particolari, vuol dire che il legislatore ha la volontà di entrare nei minimi meandri della vita e dei comportamenti dei cittadini, e quindi vuol dire che molti, forse troppi, comportamenti sono considerati così gravi da necessitare un articolo di codice penale. Un esempio per tutti: l'autocalunnia, art. 369, è punita fino a 3 anni di galera e consiste nel dichiararsi colpevole di un reato che si sa di non aver commesso... A me, più che un crimine, sembra invece, a seconda del contesto, una pagliacciata, una cretinata, una pazzia, una goliardata, una battuta. Non danneggia nessuno in nessun modo, perché merita la galera? Nel 1858, John Stuart Mill pubblica il Saggio sulla libertà. In esso è formulato l’harm principle (principio del danno): lo Stato è legittimato a intervenire per regolare la condotta dei cittadini solo quando le loro azioni danneggiano altri cittadini. Non mi pare proprio che questo saggio consiglio sia rispettato oggi, in piena epoca di dogmatismi e di finte indignazioni che fanno da retroterra a invenzioni legali molto discutibili che fanno pensare allo sfogo di fobie, per lo più sessuali, di qualche legislatore. Oltre tutto, l'eccesso di articoli penali aumenta la probabilità che qualcuno confligga con altri, si contraddica o crei paradossi: famigerato quello relativo agli abusi sessuali, che in alcuni casi implicano una pena simile a quella prevista per l'omicidio involontario; la qual cosa induce il violentatore a uccidere la vittima, giacché rischia lo stesso ma migliora la probabilità di non venire scoperto. 
Un processo penale costa soldi, tempo, fatica e risorse. È immorale attivarlo per "crimini" diventati tali solo per una puntigliosità del legislatore, oppure per non aver aggiornato un comportamento ai tempi, o anche per aver riversato troppa moralità nell'ispirazione di un reato. Il processo è una macchina che, una volta messa in moto, quasi sempre non si ferma più fino alla sentenza definitiva. E per metterla in moto, non poche volte basta la decisione di un magistrato che appone una firma su un pezzo di carta. Quella firma, a seconda dei casi, può voler dire una o più vite stracciate in un attimo senza che neppure ci sia ancora la prova della colpa di cui si è accusati.
Questo modo di procedere è primitivo assai, è basato su princìpi grezzi, si avvale di tecniche elefantiache e di sistemi peggio che artigianali. La vita di un uomo si affida leggiadramente a pacchi di documenti spesso abbandonati nei corridoi dei tribunali, si affida il suo futuro a umili impiegati che possono essere distratti e incapaci, e quindi fare danni inimmaginabili. E non si può escludere che avvocati, procuratori e giudici non siano sempre perfetti e obiettivi anziché inquinati da ideologie proprie, da interessi e da emozioni. Il codice penale può essere in balia dei tempi, delle attenzioni sociali che mutano e si trasformano, e che dobbiamo sperare che non diventinoparossismi e fobie. Poi magari si cerca di ricucire gli strappi e si vara un indulto che vanifica l'80% dei processi, vale a dire quelli la cui pena prevista arriverà fino a 3 anni.
Con quale spirito di giustizia e con quale serietà un qualunque magistrato fin d'ora celebra processi che già sa non approderanno mai all'applicazione ? Processi "tanto per farli", la cui eventuale condanna (fino a 3 anni) non sarà mai trasformata in carcere...      
processi pendenti, attualmente, superano la cifra di 5 milioni ! Ciò vuol dire che hanno bisogno di circa 20 anni per essere svolti e portati a termine... Domanda: in quante prescrizioni essi moriranno? Quasi tutti rischiano la prescrizione, chi naturalmente (difficile che un processo termini prima dei 7 anni sufficienti alla prescrizione), chi per la bravura e gli escamotages degli avvocati. Quindi è già in atto un paradosso: l'indulto ha risolto l'"emergenza" ma non ha risolto il fondamento del problema, che è quello di rendere certa la pena che invece, con la prescrizione, diventa una bluff. Insomma, il problema non è arrestare "i cattivi" ma decongestionare i tribunali per permettere ai magistrati di concentrarsi sui processi con un minimo di speranza di fare giustizia e non su quelli già destinati alla prescrizione. Ecco perché la soluzione è senza dubbio l'amnistia giacché, assieme alla pena, si estingue anche il reato, e quindi si alleggerisce e si razionalizza il lavoro dei tribunali; non a caso, nella storia patria sarebbe questa la prima volta che c'è l'uno senza l'altra.
Oggi - novembre 2006 - dopo l'indulto si parla di amnistia (la propone il Consiglio Superiore della Magistratura), ma già s'odono iniet politici ansiosi di assecondare il facile dissenso popolare. Probabilmente, proprio per questo, l'amnistia non ci sarà. Ma il dissenso popolare è troppo facile da innescare, basta prospettare alla gente pericoli e disastri e il gioco è fatto. La gente è molto ricettiva a suggestioni elementari quali "i reati si devono punire" e "i criminali devono andare in galera". Sennonché comprende molto peggio o per niente che questi possono essere slogan e teorie e che la realtà è diversa ed è più complicata.
Le carceri sono quelle che sono: sia in termini di spazio che in termini di soluzione. Costruirne ancora non è cosa facile, ma soprattutto va contro alla mutata idea dell'espiazione, che col carcere non si attua per niente. A giudicare dal tasso di recidiva, coloro che tornano a commettere il reato per cui hanno già pagato sono ancora troppi. E (anche) questo significa che la pena del carcere non ha svolto alla sua funzione, mentre di certo non significa che il carcere non fa abbastanza paura.
Una valida alternativa alla galera ancora non c'è; ma del resto neppure nel medioevo c'era l'alternativa al menestrello, ciononostante è arrivata la stampa, il cinema, la tv, internet. Si tratta solo di aspettare che quel bizzarro mix di camminata fisica e mentale, culturale e scientifica, morale e filosofica che si chiama esistenza, approdi a consapevolezze nuove, inaspettate e mai sperimentate prima.
Quel che possiamo fare è cercare di sveltire il processo, mentre altri possono parimenti frenarlo. L'evoluzione si può frenare in molti modi, anche impedendo al crimine di esprimersi compiutamente: non ci si sofferma a rifletterci, ma il palcoscenico migliore acciocché l'evoluzione si compia è marziale, istintuale, dove le "fiere", bestie o umane che siano, si azzannano per sopravvivere. Se al naturale processo di selezione si frappone il cuscinetto della regolarità e della pace sociale, non ci sarà più necessità di prevalere sugl'altri perché la propria sopravvivenza è protetta dall'esterno. Ciò comporta un blocco dei processi di adattamento, giacché le specie e gli individui meno adatti non soccombono più, come esige la Natura, ma resistono e alla fine prevalgono sul modello più forte. Risultato: una umanità sempre più debole e involuta dove la direzione del cammino esistenziale non percorrerà più i binari della selezione naturale ma quelli delpotere. Per cui il problema sarà chiedersi: chi gestisce il potere? E secondo quali criteri il potere decide la direzione di marcia?  
La base del reato è la colpa, e la base della colpa è il pensiero religioso. Ma noi (per dire i cittadini, e ancor più il loro governo) non dobbiamo essere "religiosi", dobbiamo essere laici. Dobbiamo ragionare in termini di efficienza, di efficacia, di minimo danno. E non in termini di peccati, di offese a dio, di inferno e paradiso, di bene e male. Un omicida ha una spiegazione sempre diversa da quella per cui viene condannato; un rapinatore è mosso da stimoli diversi che non la solita cattiveria criminale; uno stupratore ha un passato psicologico che l'accusa ignora; perfino un terrorista ha una motivazione politica e ideologica che i tribunali non possono e non vogliono comprendere. A ben vedere, i cosiddetti criminali non commetterebbero alcun delitto se venissero a mancare le motivazioni di fondo, se venissero a mancare gli stimoli scatenanti, le condizioni favorenti. È un discorso criticabile e forse anche zoppo. Ma non un pensierodebole. Discutendo sopra le righe, se immaginiamo una società perfetta in cui ogni ingiustizia fosse assente o sopportabile, in cui tutti fossero soddisfatti e tutti avessero un ruolo gradevole e ben pagato, i reati sarebbero di più o di meno? Non zero ma sicuramente di meno; e ciò porta a concludere che una parte della responsabilità sulle cause scatenanti il delitto sia addebitabile alle imperfezioni della società. E giacché molte di queste imperfezioni in forma "sociale" non le possiamo o non le sappiamo risolvere, non facciamo altro che traslare quelle responsabilità su un "colpevole" in forma umana.
Chiamiamo giustizia quel che è solo vendetta sociale, e la perfida soddisfazione di aver arrestato e condannato un criminale dura poco, comunque molto meno della condanna. Ma perché mai, per distribuire queste miserevoli soddisfazioni, uno Stato dovrebbe ingabbiarsi da solo nei numeri mostruosi dei processi, nelle lungaggini asfissianti della burocrazia, nella incertezza della pena diventata standard? "Onorando" tutti i crimini con un processo, forse si alimenta l'ideologia giustizialista, ma di sicuro si depaupera il senso stesso dell'attività giudiziaria; lo si depaupera attraversando eoni fra l'accusa e la condanna definitiva, quando l'ex indiziato ora colpevole può non essere più la stessa persona; lo si depaupera per lo sgretolarsi del pathos iniziale a fronte di sovvenuti mutamenti sociali; lo si depaupera perché si prende coscienza che anche un processo penale è fatto da uomini che vivono, che prendono decisioni relativistiche, che condividono con tutti gli altri uomini questo pezzo di roccia che è il nostro mondo, e che, misteriosamente, sono tutti, nessuno escluso, legati da una comune condanna a morte.
Ecco, finalmente, perché sono per un'amnistia. 


fonte:
www.calogeromartorana.it/amnistia.htm




LETTERA APERTA DI ILARIA CUCCHI


30 luglio 2011

Il processo e’ fermo.
Ci sono le ferie.
Sono stanca, arrabbiata, delusa.
Io rivoglio Stefano
Rivoglio mio fratello. Rivoglio il suo sorriso, le sue pazzie, i suoi problemi, le sue angosce, rivoglio i suoi dolori ed i suoi tradimenti….
Rivoglio mio fratello e ed il figlio dei miei genitori.
Lo rivoglio e basta! Pacchetto completo di tutto!! Nel bene e nel male!
La Giustizia.
Ma quale giustizia? Ce l’ha portato via uccidendolo in modo atroce, lento, spietato ed inesorabile.
La giustizia lo ha ignorato. Giudice e pm non lo hanno nemmeno guardato in faccia.
Non ricordano, loro, ma noi si.
Albanese senza fissa dimora. Questo per loro era Stefano. Albanese senza fissa dimora.
Stava male e si e’ persino scusato.
Nessuno se ne e’ accorto, nessuno.
Nessuno ricorda, della giustizia, nessuno.
Pestato dentro il tribunale di Roma. Questa e’ la Giustizia.
Carcerato abbandonato al suo destino di sofferenze atroci ed in solitudine fino alla morte.
Ma il giudice della convalida d’arresto non ricorda e sbaglia al processo il giorno della nostra disperata richiesta di poterlo vedere.
Non ricorda il Giudice, non ricorda Stefano, non lo ricorda nemmeno il pubblico Ministero.
Stefano in Tribunale ha chiesto aiuto. E’ stato ignorato, scambiato per albanese senza fissa dimora. Ucciso.
Cara signora Giustizia noi lo rivogliamo con tutti i suoi problemi, ma lo rivogliamo indietro!
Lei non aveva il diritto di trattarlo in quel modo, Lei che si vanta di essere giusta ed uguale per tutti, non ne aveva il diritto.
Ora abbiamo un processo dove tutti si occupano di lui. O fanno finta.
Ora abbiamo il processo.
Ma il ministro della Giustizia sa cosa vuol dire per noi “persone offese” questo processo?
Io mi chiedo…lo sa?!
Sa il signor Ministro quanto costa per noi questo processo?
Decine di udienze dove si discute degli “eritemi”sul viso martoriato di Stefano!?
Quando non vengono chiamati eritemi vengono definìti, nelle domande sempre uguali dei Giudici, “occhiaie”. Lo sa il signor Ministro che non si possono fare domande agli specialisti chiamati per esprimersi sulle possibili complicanze delle fratture alla schiena subite da Stefano, che riguardino le valutazioni che espressero in quel momento? Quando mio fratello era vivo e poteva parlare? Non si può perché spetta ai signori consulenti del pm dire che Stefano Cucchi, su quel letto sofferente e morente, in realtà non aveva nulla se non modeste lesioni “lievi”.
Lo sa il signor Ministro come ci sentiamo noi cittadini famigliari di fronte a questi mille cavilli che danno luogo più ad una rappresentazione teatrale che a quello che noi pensavamo essere un processo?!
Noi abbiamo visto partire Stefano Cucchi per il tribunale di Roma sano ed in perfette condizioni di salute e nel tribunale di Roma Stetano e’ stato ucciso.
Questo noi sappiamo.
Lo sanno i famigliari tutti.
Lo sanno quelli che tutte le mattine lo vedevano correre.
Lo sanno quelli che lo hanno visto in palestra allenarsi fino all’ultimo giorno, quello dell’arresto.
Lo sa il barista del cappuccino di tutte le mattine.
Lo sa il benzinaio dove si fermava sempre.
Lo sa lo spacciatore che gli ha dato tutta quella droga che aveva.
Lo sa il prete che lo vedeva a messa tutte le mattine.
Lo sanno i carabinieri che lo hanno arrestato.
Lo sanno coloro che lo hanno pestato a morte.
Lo sanno tutti.
Solo al processo si fa finta di nulla.
Ora ci vogliono togliere pure questo bislacco ed irrispettoso processo.
Non bastava la legge che avrebbe vietato la pubblicazione di foto ed atti giudiziari, che ci avrebbe impedito di denunciare pubblicamente il caso terribile di Stefano.
Ora mi dicono che i difensori degli imputati potranno aggiungere migliaia di testimoni al processo obbligando i Giudici a distrarre la loro attenzione dagli eritemi ed occhiaie all’ ascolto di tutti i testimoni a loro piacimento.
Il processo non avrà fine.estenuante e tutto a nostro carico
Io non voglio più questo terribile indegno processo, rivoglio da lei sig. Ministro la vita di mio fratello.
Se ne faccia carico perché e’ la sua Giustizia che lo ha ucciso.
Altrimenti si abbia il coraggio di dire senza alcuna ipocrisia che e’ giusto che sia morto perché la sua vita non valeva nulla .
Questo e’ successo e questo e’ ciò che ci viene riservato
Con rispetto
Ilaria Cucchi

sabato 30 luglio 2011

Nuovo carcere, il commissario Ionta: “Non a Savona, idea impraticabile, ma a Cairo”

Giuramento scuola penitenziaria Cairo Montenotte


Cairo Montenotte. Tramonta definitivamente l’idea di un nuovo carcere a Savona. A mettere la pietra tombale è stato oggi il commissario straordinario per le carceri, Franco Ionta, a margine del giuramento degli agenti della scuola penitenziaria di Cairo. “La procedura messa in campo per il nuovo carcere a Savona deve essere abbandonata – ha detto a chiare lettere Ionta – E’ molto difficile da proseguire. Bisogna localizzare la costruzione del nuovo istituto altrove, sicuramente e fattivamente, perché l’attuale Sant’Agostino non è idoneo per la dignità dei detenuti e degli operatori di polizia penitenziaria che vi lavorano”.
Dopo anni di impegni e voci sulla nuova casa circondariale che avrebbe dovuto sorgere a Passeggi nell’area di Savona, il capo dell’amministrazione penitenziaria dichiara il capolinea dell’idea progettuale. La località, invece, è quella cairese. “Il Sant’Agostino deve essere al più presto sostituito con un’altra struttura. C’è la proposta del sindaco di Cairo che viene tenuta in perfetta considerazione. I tecnici stanno valutando pro e controindicazioni delle aree di Cairo Montenotte segnalate, stanno svolgendo una valutazione sulla loro funzionalità”.
Le aree valbormidesi sulle quali potrebbe essere edificato il nuovo istituto penitenziario sono quelle di Ferrania, in particolare si ipotizza una zona di 10 ettari in località La Marcella. Il commissario Ionta non si sbilancia: “Non entro nello specifico della zona in quanto, ripeto, i tecnici stanno ancora valutando e non voglio creare aspettative. E’ certa la necessità di fare un nuovo carcere che sostituisca il Sant’Agostino”.
Il commissario Ionta ha più volte sottolineato l’importanza della scuola di formazione della polizia penitenziaria a Cairo: “Qui gli agenti fanno scelte di vita e noi ne abbiamo bisogno. Quella cairese è una scuola prestigiosa, di lunga tradizione, e non abbiamo alcuna intenzione di chiuderla nonostante i problemi di bilancio nella gestione del sistema carcerario”.

fonte : IVG.it

… ti condanno a non finire in carcere


Libri: “Giustizia relativa e pena assoluta”, di Silvia Cecchi … ti condanno a non finire in carcere


Tempi, 28 luglio 2011

E se non fosse la detenzione il migliore dei sistemi possibili per “ottenere giustizia”? 

Il sorprendete saggio del magistrato Silvia Cecchi spiega cosa fare contro la “collera del diritto” in tempi di manette egualitarie
“Cerco solo giustizia”.

 Quando sentiamo pronunciare queste tre paroline siamo già in vista di un tintinnar di manette. C’è la vittima (o il rappresentante di un’associazione di vittime) che parla da qualche parte. Sarà un salotto lacrimante? Un corridoio di tribunale? Con tutt’intorno alle telecamere il grappolo di curiosi e supporter?
Siamo qui per trarre commercio dall’eccitazione sentimentale degli spettatori. Perciò quelle tre paroline sono sempre uguali. Sul set. Come dentro un articolo di giornale che, austero, ci sta spiegando per il ventesimo anno consecutivo perché a Palermo c’è solo quell’industria lì. Ecco forse la ragione vera per cui non viene mai in mente a nessuno il famoso “braccialetto elettronico”.
Ecco perché non si pensa e non si insegna a pensare che la forma retributiva di un delitto può consistere in una pena alternativa al carcere. Sembra aver l’aura di quelle istituzioni sorte con Adamo ed Eva: un po’ come la guerra del famoso soldato fatto prigioniero in Iraq, l’istituzione carceraria sembra fatta apposta “per rimettere a posto le cose rotte”. E dire che, al contrario, perfino il Logos sostiene fin da principio le pene alternative. Adamo ed Eva non vengono imprigionati dopo la violazione dell’Eden.
Vengono buttati fuori e condannati a lavorare. La paternità di questa osservazione è di Vittorio Mathieu. Filosofo che ha firmato la postfazione a un saggio di vibrante e brillante accento anti carcerario. E poi un saggio sorprendente. Perché l’autore non è uno psicologo, un assistente sociale o una vittima di malagiustizia, ma un magistrato, un pubblico ministero. Insomma, uno che fa questo mestiere di mandare in galera le persone.

Già il titolo è in controtendenza rispetto alla vulgata messianica: “Giustizia relativa e pena assoluta”. È l’ammissione di un limite insuperabile piuttosto che un’esaltazione della legge e dei suoi amministratori. L’autrice è Silvia Cecchi, sostituto procuratore a Pesaro. Agile e denso di osservazioni, molte delle quali frutto di vicende vissute in prima persona dall’autrice, il volumetto è appena uscito per i tipi di Liberi Libri, piccolo editore di Macerata, ma con una produzione interessante che spazia dalla saggistica storica a escursioni nella cronaca e nel dibattito di attualità.
Quello della Cecchi ha il pregio di abbracciare entrambi i campi, la storia e la cronaca, con sintesi e appropriatezza.

 Dunque, tanto per cominciare, la moderna istituzione ove c’è chi amministra (lo Stato guardia penitenziaria) e chi sconta le pene (i detenuti) nasce solo nel 1700. E nasce in conflitto di civiltà con il cristianesimo. Che nell’epoca più perfetta della storia (altro che “secoli bui”), il Medioevo, era privo di istituzioni carcerarie propriamente dette e si affidava a forme di restrizione della libertà che erano avventizie (reclusione in attesa del processo) o claustrali (in seguito a una condanna) e seguivano i principi del diritto canonico.
Tale diritto prevedeva la pena di morte (pena che giustamente il catechismo cattolico non ripudia totalmente ancora oggi), ma non esisteva l’idea di teorizzare la colpa e la pena in se stesse, farne oggetto di imperativo morale (come il categorico kantiano), di diritto dello Stato a punire e di dovere del reo di accettare la punizione. Fino all’illuminismo e alle sue prime giustificazioni teoriche-filosofiche (in Kant, Hegel e Feuerbach), spiega la Cecchi, “la pena carceraria è una pena residuale e
sussidiaria rispetto alla pena pecuniaria, assolutamente predominante in periodo medievale, nel ruolo collaterale alle pene capitali e alle pene corporali”. Muri, chiavi, blindi, catene Mutatis mutandis, oggi non occorre essere cristiani per riscoprire la razionalità e l’equilibrio di un sistema (quello medioevale) che era molto più pratico e molto meno dispendioso per la collettività di quello attuale, ipocritamente egualitario e obbligatorio per ogni reo.

Oggi però, avverte la Cecchi, non foss’altro che per gli errori giudiziari e la situazione catastrofica in cui versano le carceri italiane, si avverte la necessità di trovare misure cautelative alternative. Il nostro circuito penitenziario scoppia di detenuti in attesa di giudizio che, secondo le statistiche, almeno per il 40 per cento, saranno dichiarati innocenti. E allora, si chiede la Cecchi, cosa osta a questa ricerca razionale e giuridica di una giustizia “mediativa, riparatoria, restituiva, conciliativa”?

Il problema, par di capire, è un pò quello delle case farmaceutiche che vanno forte con un certo medicinale: per quale ragione dovrebbero finanziare la ricerca di un’altra molecola, magari più efficace ma alternativa all’altra che intanto garantisce a una certa industria remunerazione e successo? Così, osserva la Cecchi, “la sopravvivenza, nell’ordinamento, di una sanzione penale afflittiva-retributiva come è quella carceraria attuale è l’ostacolo maggiore all’affermazione di una giustizia mediativa e ripartiva”.

Ma la pena ci deve essere e dev’essere afflittiva, “per una ragione di simmetria” come pensa il cattolico Mathieu? Siamo sempre lì, senza fantasia e depressi a subire l’ideologia dell’egualitarismo (astrazione indifferente a qualsiasi avvenimento): “Il colpevole ha diminuito la libertà di altri e la sua libertà deve subire una diminuzione corrispondente” (Mathieu).

Dunque nel mezzo dell’epopea delle “manette egualitarie”, dove perfino i radicali finiscono (per la prima volta nella loro storia) a votare l’arresto di un collega deputato, cresce la voglia anche tra i magistrati di smarcarsi da un pensiero unico dominante che accarezza l’audience, vuole il sangue e cerca la plebaglia. Non è la prima e non è il solo magistrato Silvia Cecchi. Abbiamo visto il Procuratore aggiunto di Venezia Carlo Nordio discutere con l’avvocato e neosindaco di Milano di giustizia minacciata dai giustizialisti. E abbiamo sentito con quale precisione chirurgica e scientifica il presidente di Corte di Appello di Bari Vito Marino Caferra ha scritto di Giustizia e i suoi nemici. Guido Brambilla, magistrato di sorveglianza a Milano, ha espresso su queste pagine la propria personale pena sul “declino del diritto penale”. “Non solo la stessa logica del “processo” sarebbe ormai desueta, ma anche gli stessi concetti tradizionali di evento, di colpa, di punizione” ha sintetizzato Brambilla.

Così, ponendosi nelle stessa linea dei magistrati non politicizzati e piuttosto coscienti dei propri limiti, anche Silvia Cecchi mostra nel suo libello di non credere a quella “collera del diritto” che è la pena carceraria. E non ci crede non per ragioni umanitarie, religiose o socio-psicologiche. Non ci crede perché “il problema della pena carceraria risiede innanzitutto nel suo essere un male”. Sia per la sua antigiuridicità che si esprime in prevalenza assoluta della ragione retributiva su ogni altra funzione (educativa) raccomandata dalla Costituzione. Sia per il suo essere “congenitamente vendicativa, indebitamente afflittiva, perché totalizzante, sì che resterebbe tale anche là dove venissero soppressi o mitigati i muri, le chiavi, i blindi e le catene”.
 fonte: RISTRETTI.it



venerdì 29 luglio 2011


IL COLLE EVOCA L'AMNISTIA MA NON PUO' 


Europa - 29 luglio 2011
"Carceri emergenza assillante, non escludere nessuna ipotesi"
di Gabriella Monteleone
Non se ne farà niente, lo sanno tutti. A cominciare da Marco Pannella che ha speso una vita e ricorrenti scioperi della fame e della sete per affermare il diritto dei cittadini ad una «giustizia giusta». In cuor suo ne è consapevole anche il presidente della repubblica, che ci ha messo molto di suo nel convegno organizzato dai radicali nella sala Zuccari del senato con il gotha giuridico e giudiziario del paese per discutere soprattutto di quell'«emergenza assillante» - parole di Napolitano - che sono le carceri e che definire sovraffollate «è un eufemismo». Non se ne farà niente di un possibile provvedimento di amnistia e indulto che pure viene evocato dal capo dello stato quando invita ad affrontare la situazione «senza trascurare i rimedi già prospettati» ma anche «non escludendo pregiudizialmente nessuna ipotesi che possa rendersi necessaria». Pannella si incarica di esplicitare la richiesta con la consueta passione civile di chi guarda da sempre «ai diritti degli ultimi e non dei privilegi di pochi o di tanti», ma le premesse politiche per una tale iniziativa che comporta una maggioranza di due terzi del parlamento, e che pure Napolitano chiama in causa direttamente, mancano. È lo stesso capo dello stato a riconoscere che «la politica appare oggi debole e irrimediabilmente divisa, incapace di produrre scelte coraggiose, coerenti e condivise». Ecco, mai un'amnistia sarebbe più impopolare e improponibile, con l'antipolitica che monta, le inchieste giudiziarie che si moltiplicano, il paese tutto sull'orlo dello sconforto e non solo. Anche se solo la Lega si incarica, subito, di dire un No esplicito e il sito de Il Fatto quotidiano, da par suo, interpreta: «Di fronte alle inchieste che colpiscono destra e sinistra ripartono le grandi manovre per evitare una nuova Mani pulite». Napolitano, in realtà, dice molto di più: «Evidente è l'abisso che separa la realtà carceraria di oggi dal dettato costituzionale sulla funzione rieducativa della pena e sui diritti e la dignità della persona. È una realtà non giustificabile in nome della sicurezza che ne viene più insidiata che garantita». È un j'accuse esplicito alla politica adottata dal centrodestra del "più galera per tutti", dove i tutti sono solo immigrati, tossicodipendenti e poveracci: si è iniziato nel 2002 con la Bossi-Fini, poi con l'ex Cirielli nel 2005 e a seguire, nel 2006, con la Fini-Giovanardi, quindi il pacchetto sicurezza a firma Maroni: è anche grazie a queste leggi che tra il 2007 e il 2011 i detenuti sono triplicati: 67.174 persone a fronte di una capienza di 45.551. E ciò nonostante l'indulto varato nel 2006 che ne fece uscire 26mila (solo una piccolissima percentuale è rientrata, checché ne dicano i soloni securitari). «Una realtà che ci umilia in Europa» dice un Napoletano preoccupato che sollecita «risposte dalla politica». Il neo guardasigilli Palma promette di depenalizzare i reati per affrontare la situazione. Bene. Per ora però, dal governo, arriva solo la fiducia per allungare i processi e far prescrivere i reati (certo quelli di cui è accusato il premier, ma anche quelli di mafia). Il capo dello stato chiede uno scatto, una svolta «non foss'altro per istinto di sopravvivenza nazionale». Ma sembra prevalere solo quella personale.

fonte: emmabonino.it

giovedì 28 luglio 2011

Francesco Nitto Palma: ricordiamolo così



Immunità, assenze, gatti parlanti e problemi rettali: lo ricordiamo così.

Il Senatore Pdl Francesco Nitto Palma è il nuovo Ministro della Giustizia. Dopo 10 anni di Parlamento, ci piace ricordarlo così.

  • Nel 2002 ha dato il nome al famoso "emendamento Nitto Palma", che mirava a reintrodurre l'immunità parlamentare, suo chiodo fisso.
  • Magistrato di lungo corso, piace molto al Premier Berlusconi. Chissà perché.
  • Grande appassionato di calcio, è stato membro del Comitato organizzatore di Italia '90.
  • Ha difeso l'amico Cesare Previti - appena condannato ad 11 anni di carcere - nel salotto televisivo di Bruno Vespa.
  • 2003, meno processi per tutti: altroché Lodo Alfano, per Nitto Palma ci vogliono scudi per tutti quanti: per il Presidente del Consiglio, per il Presidente della Repubblica, per i Presidenti di Camera e Senato, per tutti i Ministri, per tutti i Parlamentari, per tutti i Giudici Costituzionali, per tutti i Governatori e per tutti gli Assessori Regionali, fino a fine mandato, e processi bloccati anche per i coimputati. Non so se rendo.
  • Fallito il progetto "scudo planetario", ritorna all'attacco un paio d'anni dopo, con la "Ex-Cirielli", letale nel ridurre i termini della prescrizione e perfetta per salvare Cesare Previti.
  • Nel 2007 l'ultima battaglia degna del suo nome: no alla riduzione dello stipendio dei parlamentari.
  • Assente nell'85% delle votazioni parlamentari, non si è mai perso una legge ad personam.
  • Ha scritto il libro "Fatti onore papà", tra flash-back e gatti parlanti.
  • Acerrimo nemico dei magistrati di Tangentopoli, ha fatto archiviare - o "affossare", come scrive qualcuno - alcune inchieste eccellenti, vedi Gladio.
  • 28 luglio 2011: a poche ore dal suo insediamento al Ministero della Giustizia - alla faccia del processo breve, alla faccia del "dialogo con tutti" - la maggioranza pone la fiducia sulla norma ad personam chiamata "allunga-processi".
A parte Previti, immunità e leggi vergogna, tra le tante, in questi 10 anni Nitto Palma è stato primo firmatario o co-firmatario delle seguenti iniziative parlamentari (XIV e XV legislatura):
  • (2485) Rifinanziamento per il restauro e il recupero delle Ville venete.
  • (2109Disciplina del settore dello spettacolo.
  • (2352Disposizioni per il monitoraggio dell'umidità dei cereali.
  • (3630) Legge quadro per la determinazione delle regole di condotta dello sciatore e per l'utilizzo delle piste da sci.
  • (2727) Interventi in favore dei soggetti incontinenti, stomizzati e portatori di malformazioni ano-rettali.
  • (2679) Disciplina della professione di insegnante di tennis.
  • (4058) Modifiche in materia di inserimento del falco e del falconiere intesi come ausiliari nei servizi aeroportuali per garantire la sicurezza dei voli.
  • (1297) Istituzione del Consorzio di ricerca e sviluppo dell'energia nucleare.
  • (1150) Istituzione della provincia pedemontana di Bassano del Grappa.
  • (1762) Misure urgenti a tutela e salvaguardia della danza, del balletto e dei corpi di ballo.
fonte: non leggere questo blog

Bonino ad Affari: "Amnistia subito e poi la depenalizzazione"


Di Tommaso Cinquemani

emma bonino
"Darò priorità al problema del sovraffollamento delle carceri attraverso un programma di depenalizzazione dei reati minori".Così Francesco Nitto Palma, neo ministro della Giustizia, annuncia una svolta per risolvere il problema dei nostri penitenziari.E dalle sue parole traspare la volontà non solo di depenalizzare, ma anche di varare un indulto per svuotare subito le carceri. "Certo, noi come radicali potremmo appoggiare un'amnistia". Emma Bonino, esponente di primo piano del partito Radicale, sceglieAffaritaliani.it per raccogliere la proposta del ministro. "Bisogna sicuramente depenalizzazione i reati minori per cui dovrebbero essere previste delle pene alternative e non certo il carcere".

Il neo ministro alla Giustizia, Francesco Nitto Palma, ha affermato che una delle sue priorità sarà quella di risolvere il problema del sovraffollamento delle carceri. Appare possibile una amnistia e la depenalizzazione delle carceri, voi l'appoggereste?
"Certo, noi come radicali potremmo appoggiare una amnistia. Le carceri sono strapiene e devono essere liberate di almeno un terzo dei reclusi".
Ok all'amnistia quindi, e la depenalizzazione?
"Bisogna sicuramente depenalizzazione i reati minori per cui dovrebbero essere previste delle pene alternative e non certo il carcere. Bisogna prevedere i lavori sociali, i domiciliari e soggiorni in comunità. Pensiamo agli immigrati che sono in prigione perché tali, senza aver commesso neppure un reato. Amnistia e depenalizzazione fanno parte di un pacchetto di riforme che i radicali chiedono da anni".

francesco nitto palma
Francesco Nitto Palma - Ministro della Giustizia
Quindi i radicali concordano sulla linea del neo-ministro Palma?"Le riforme impostate dal Guardasigilli sono come quelle che vorrebbero i radicali. Salvo che evita di dire che bisogna incominciare dalla testa.
Si spieghi meglio?
"Secondo i radicali bisogna iniziare dall'amnistia. Depenalizzare riguarda il futuro, ma all'oggi chi ci pensa? Le carceri stanno scoppiando. La capienza è ormai quasi raddoppiata, dobbiamo prendere dei provvedimenti drastici. Questo non vuol dire lasciare a piede libero pericolosi nemici pubblici, ma c'è molta gente che in un Paese civile non dovrebbe neppure starci in carcere".
Quali reati vorreste depenalizzare?"Innanzitutto questi stranieri che sono in carcere solo perché sono entrati illegalmente, per il loro status, non per un comportamento illecito. E poi tutta una serie di reati per le quali ci sono pene alternative come droga, piccoli crimini o reati amministrativi per cui ci dovrebbero essere sanzioni amministrativi e non penali. Bisogna utilizzare meno la custodia cautelare in carcere. Ci sono una serie di situazioni che potrebbero essere risolte in altro modo piuttosto che rinchiudendo le persone. Per depenalizzare devi fare delle leggi e nel nostro Paese ci impiegano anni per farle e non possiamo aspettare".

fonte: http://affaritaliani.libero.it/

Piccole storie dall'universo carcerario

Ci sono storie, piccole storie, che raccontano più di tante analisi e di tanti discorsi. Perché poi solo in apparenza sono piccole storie.di Valter Vecellio
Andiamo a Massa, in Toscana. Nel carcere di Massa c’è un detenuto, si chiama Salvatore Iodice. Forse è colpevole, forse no, non importa saperlo. Il signor Iodice prima di essere incarcerato, in quel carcere ci viveva buona parte della sua giornata, perché ne era il direttore. Lo accusano di aver pilotato delle gare per la realizzazione di lavori proprio di quel carcere. Chissà. A noi interessa quello che dice: “Sono stato arrestato nel luglio 2010; ho vissuto in isolamento, in un ambiente angusto e malsano. 
In piena estate sotto il letto crescono i muschi. Ero guardato a vista 24 ore su 24, senza alcuna possibilità di socialità. Solo quando manca un mese dalla scarcerazione l’isolamento finisce. Per 20 giorni non ho potuto ricevere lettere, ho potuto chiamare casa dopo 30. A farmi compagnia tantissimi scarafaggi e insetti di ogni tipo. E ora se nessuno mi darà una spiegazione sarò portato a credere che la carcerazione sia stata usata come strumento di tortura. Ho subito una carcerazione umiliante e degradante, chi toglie la libertà ad una persona ha l’obbligo morale di garantire i diritti minimi. Ogni Pubblico Ministero sa che in quelle condizioni si dice il vero o il falso pur di uscire dalla disperazione. Mentre gli inquirenti acquistavano visibilità, io ero alla gogna”. 







   Un’altra piccola storia. La racconta Salvo Fleres garante dei detenuti in Sicilia. La storia che racconta è quella di un detenuto, il signor Francesco Cardella. Anche in questo caso non sappiamo cos’abbia fatto il signor Cardella, e neppure interessa. Forse è innocente, forse no. Il signor Cardella ha praticamente perso tutta la famiglia in un incidente stradale. Proprio nel giorno in cui avrebbe dovuto svolgersi un colloquio ha perso le due figliolette di 8 e 2 anni; la suocera, i cognati. Una strage. L’unica sopravvissuta è la compagna, ricoverata in ospedale a Palermo. Cardella, deve solo trascorrere altri tre mesi in carcere, chiede di poter essere trasferito a Palermo, per poter sostenere la sorella e appoggiarsi ai fratelli. Aspetta che la burocrazia prenda una decisione. Magari arriverà quando avrà finito di scontare la condanna.

   Terza piccola storia, riguarda uno dei sei Ospedali psichiatrici giudiziari italiani, uno tra i peggiori, quello di Barcellona Pozzo di Gotto in Sicilia. Gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari sono strutture che non dovrebbero esserci, che dovrebbero essere state abolite. Ma ci sono, non sono state abolite. E in quelle strutture che sono carceri che non dovrebbero essere carceri ma luoghi di cura, sono detenute alcune migliaia di persone, alcune delle quali hanno commesso crimini orribili, ma che sono dichiarate incapaci di intendere e volere, e dunque andrebbero curate, assistite; e invece vivono come detenuti, condannati come detenuti. 

   Ma occupiamoci di Barcellona Pozzo di Gotto. I senatori Ignazio Marino e Donatella Poretti, presidente e vice-presidente della commissione parlamentare d'inchiesta sull'efficacia e l'efficienza del servizio sanitario nazionale piombano senza preavviso in quell’ospedale psichiatrico giudiziario, ed effettuano una ricognizione dei reparti, da cui emerge, cito le loro parole, "l'elevata e drammatica criticità. Con una disponibilità di risorse sempre più esigua, la situazione resta preoccupante: oltre 360 pazienti-detenuti, locali che richiedono manutenzione urgente,  personale insufficiente”. E’ quello che succede un po’ ovunque. Ma solo in Sicilia accade che da tempo immemorabile la Regione non recepisce il Decreto per il passaggio della sanità penitenziaria al Servizio sanitario regionale; e gli accordi della Conferenza Stato-Regioni restano inattuati.

   C’è un prete. Un prete di buona volontà, don Pippo Inzana; è cappellano di Barcellona Pozzo di Gotto. Dice che c’è carenza di acqua, sovraffollamento, personale insufficiente, celle con letti a castello che ospitano fino a 10 persone e il letto di contenzione, che ancora si utilizza, anche se più raramente. Di fronte a tutto ciò, e senza il sostegno delle istituzioni competenti, anche il direttore, nonostante la sua intraprendenza, sensibilità e apertura, è impotente.

   Chiudiamo con il carcere di Siracusa acqua razionata, 15 o 20 minuti al giorno. Il signor Davide Amenta, deve scontare una condanna a trent’anni per omicidio. Racconta che nel momento in cui vengono aperte le docce l’acqua arriva o gelida o caldissima, col rischio di ustionarsi. Oltre al problema dell’acqua, che nessuno è mai riuscito a risolvere,  c’è quello del sovraffollamento. In celle di pochi metri quadrati devono coabitare anche quattro detenuti. La situazione è destinata ulteriormente ad aggravarsi per gli arrivi di nuovi reclusi  distribuiti nelle varie sezioni, nonostante siano tutte stracolme. Altra nota dolente è quella del servizio sanitario: il detenuto che intende farsi visitare dal medico deve mettersi in lista d’attesa almeno tre mesi prima. 
  Può bastare, per ora.
  
fonte: http://www.articolo21.org/index.php

mercoledì 27 luglio 2011


Ecco chi è il nuovo ministro della Giustizia


Nitto Palma è il nuovo Guardasigilli. Ex magistrato, in questa legislatura ha ricoperto il ruolo di sottosegretario al Ministero degli Interni
nitto palma e1311782387786 Ecco chi è il nuovo ministro della GiustiziaPochi minuti fa il Presidente della Repubblica ha nominato Nitto Palma ministro della Giustizia. Si tratta di un ex magistrato, senatore Pdl e sottosegretario all'Interno. Come magistrato ha ricoperto l’incarico di Sostituto Procuratore Nazionale Antimafia dal gennaio 1993 al dicembre 1994 e dal gennaio 1996 fino all’aprile 2001. Dal dicembre 1994 al novembre 1995 è stato Vicecapo di gabinetto e direttore dell’Ufficio Relazioni Internazionali del Ministero di Grazia e Giustizia.
E' stato eletto poi alla Camera dei Deputati nel 2001. Qui è stato Presidente della Commissione Giurisdizionale per il personale della Camera dei Deputati, componente della Commissione Affari Costituzionali, componente della Commissione Parlamentare di inchiesta sul fenomeno della criminalità organizzata mafiosa, componente della Commissione Parlamentare di inchiesta sulla morte di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin.
Nel 2006 si candida e viene eletto al Senato della Repubblica. Nella Camera "alta" ha ricoperto l’incarico di Vicepresidente della Commissione Affari Costituzionali, e componente della commissione anti-mafia
E' stato rieletto al Senato come capolista in Calabria il 13 aprile 2008. In questa legislatura è stato sottosegretario di Stato con delega per le materie di competenza del Dipartimento dei vigili del fuoco, del soccorso pubblico e della difesa civile, per le materie di competenza dei Dipartimento per le politiche del personale dell'Amministrazione civile dell'interno e per le risorse strumentali e finanziarie e per le materie di competenza del Dipartimento per gli Affari Interni e Territoriali relative alla Direzione Centrale per l'amministrazione generale e per gli Uffici territoriali del governo.
Qualcuno lo ricorderà quando nel 2002 presentò un emendamento che prevedeva il blocco totale di indagini e processi sui parlamentari per tutta la durata del loro mandato, antesignano di un super lodo Alfano. In quell'occasione fu costretto a ritirarlo per pressioni interne alla stessa maggioranza, anche perché poteva apparire come uno sfacciato tentativo di salvare il suo amico Cesare Previti, imputato in diversi procedimenti per corruzione. Un falco, nonostante le sue origini di Magistrato. Secondo il Fatto Quotidiano Palma detesterebbe "Magistratura democratica".
fonte: http://www.dirittodicritica.com/

Ciao, sono il nuovo Ministro della Giustizia.

fonte: Non leggere questo Blog!

Angelino Alfano si è dimesso. Francesco Nitto Palma - meglio conosciuto come "L'amico di Previti" - è il nuovo Ministro della Giustizia. Chissà quali sono le sue priorità.