domenica 14 agosto 2011

Al Carcere di Opera detenuti e vittime a confronto





Risultati del primo progetto italiano di giustizia riparativa
realizzato da Prison Fellowship Italia

12 febbraio 2011
Oggi, presso il Teatro del Carcere di Opera, sono stati presentati i risultati del Progetto Sicomoro, il primo
progetto di giustizia riparativa realizzato in Italia presso la Casa di reclusione di Opera dall’Associazione
Prison Fellowship Italia, un’associazione di volontariato federata alla più vasta rete della Prison
Fellowship International, la più importante organizzazione cristiana a sostegno dei detenuti operante in
117 Paesi al mondo con 100.000 volontari e 500 dipendenti.

Far incontrare e dialogare le vittime e gli autori di reati. 
Questo è lo spirito del progetto: 
gruppi di persone che dialogano e si confrontano all’interno del carcere per capire la vita, le azioni e le motivazioni
degli uni e degli altri.
 Obiettivo: la giustizia riparativa per chi ha subito un crimine e la riabilitazione morale e spirituale per chi l’ha commesso.
Il progetto infatti mira ad un inserimento nella realtà carceraria e a un reinserimento nella società successivo alla detenzione, che non si limiti a considerare la deriva morale e culturale del detenuto, ma
parta dalla sua condizione di uomo a cui offrire una possibilità di riscatto, con lo scopo di sanare le ferite e spezzare le catene che legano sia i prigionieri che le vittime.


La prima sperimentazione al  Carcere di Opera
La prima sperimentazione italiana è stata condotta presso il Carcere di Opera, grazie all’attivo coinvolgimento della Direzione dell’istituto penitenziario. A partire dal 6 novembre 2010 e per le 8
settimane successive sette detenuti, di cui sei condannati all’ergastolo (selezionati dalla direzione
carceraria e dai volontari di Prison Fellowship Italia tra i 40 che avevano aderito all’iniziativa, senza nessuna distinzione di provenienza e di credo religioso) hanno incontrato sei vittime o familiari di vittime che avevano subito crimini analoghi. Tra queste, Alberto Torregiani, Mario Congiusta e Nicoletta Inzitari.
Gli otto incontri sono stati articolati in un percorso a tappe: i partecipanti, guidati dai volontari formati da Prison Fellowship Italia e partendo dalle reciproche esperienze di vita, hanno analizzato e discusso i concetti di responsabilità, confessione, pentimento, perdono, riparazione e riconciliazione.

Dopo un’iniziale chiusura e diffidenza reciproca, molte testimonianze che raccontano un percorso umano complesso e doloroso, che ha rappresentato per i detenuti un’opportunità di riscatto morale e per le vittime una possibilità di liberazione dalle catene della rabbia, del rancore e dell’odio, perché, come ha detto uno dei partecipanti, “il crimine crea vittime a cerchi concentrici”.
Tra i detenuti c’è chi ha affermato che il proprio dramma “non era svegliarsi al mattino in carcere, ma attraversare la giornata con il peso dei propri crimini”, chi al termine degli incontri sostiene di aver
“aspettato tutta la vita questo momento”, chi tra i familiari delle vittime ha raccontato di una vita sospesa al momento della propria tragedia e che “il perdono scioglie dai legami, senza di esso resti legato per sempre”.



Nel Carcere di Opera il Progetto Sicomoro proseguirà con la realizzazione di altri percorsi analoghi per
coinvolgere i detenuti che non sono rientrati nella sperimentazione iniziale. Altri progetti sono già pronti
a partire nel Carcere di Rieti e nel Carcere di Poggioreale e, contemporaneamente, sono stati formati i
volontari che proveranno a portare il Progetto Sicomoro nel Carcere dell’Ucciardone a Palermo.

La giustizia riparativa
Col termine giustizia riparativa si fa riferimento ad un nuovo e diverso modo di fare giustizia che si pone
come obiettivo primario quello di ristabilire il diritto attraverso la rappacificazione sociale delle parti in
contrasto. È un modo nuovo perché si differenzia dai modelli cosiddetti tradizionali della giustizia
retributiva e della giustizia rieducativa. Si applica con modalità che coinvolgono attivamente vittima, reo
e comunità nella ricerca di soluzioni al conflitto generato da comportamenti ed azioni che possono anche
configurarsi come illeciti e reati.
La giustizia riparativa è stata applicata anche in situazioni sociali molto complesse. Di una di queste
racconta il docu-film “As we forgive” della regista Laura Waters Hinson: due donne ruandesi si trovano
faccia a faccia a faccia con gli uomini che hanno massacrato le loro famiglie durante il genocidio del 1994
che lasciò uno strascico di milioni di morti.
Giacinto Siciliano “E’ stato rilevante il numero dei detenuti cui è stato esplicato il progetto che hanno chiesto di
parteciparvi. Si sono consolidati percorsi individuali particolarmente significativi che dimostrano come
possa essere importante avviare esperienze di giustizia riparativa all’interno degli istituti penitenziari.”
ha commentato Giacinto Siciliano, Direttore della Casa di Reclusione di Opera.
Luigi Pagano “Il problema della recidiva riguarda oggi ben il 68% degli ex detenuti che hanno scontato pene
tradizionali, mentre si abbassa al 27% nel caso di chi sconta pene alternative” ha affermato Luigi Pagano,
Direttore del Provveditorato per la Regione Lombardia dell’Amministrazione Penitenziaria.
Marcella Reni È necessario dunque lavorare per una modifica legislativa che porti all’istituzione di misure detentive
alternative, perché un carcere più “aperto” è un carcere più sicuro. Il nostro progetto si aggiunge ad altri
interventi da parte di operatori e realtà associative che vanno nella stessa direzione” ha dichiarato
Marcella Reni, Presidente di Prison Fellowship Italia.
Carlo Paris “Il pentimento e il perdono sono forze positive che cancellano il bisogno di vendetta – ha infine aggiunto
Carlo Paris, Presidente della sezione lombarda di Prison Fellowship – e che mirano a ricostituire un
nuovo ed autentico patto sociale all’interno del carcere, tra i detenuti e con gli operatori carcerari, e, più
in generale, nel suo contesto sociale di provenienza e di ritorno, e familiare all’interno della famiglia del
detenuto”.

fonte: www.prisonfellowship.it



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