martedì 30 agosto 2011

Lo scandalo dei penitenziari “fantasma”


Sembra uno scherzo, ma non c’è davvero nulla da ridere, nulla di che scherzare. E’ un paradosso. Uno di quegli amarissimi paradossi in cui ci si imbatte quando ci si occupa di carcere, di detenuti, di legge, di giustizia. La situazione delle carceri – un collasso che non collassa mai, e lo si deve al senso di responsabilità di detenuti, agenti di custodia, operatori, volontari, comunità penitenziaria – è riassumibile in alcuni dati: 66.942 detenuti, al 31 luglio, 'spalmati' in 207 istituti penitenziari che ne dovrebbero contenere 45.681.
Lo scherzo che non è uno scherzo, il paradosso che non è un paradosso, è questo: secondo i dati raccolti dall’Associazione ’Detenuto Ignoto’, ci sono almeno 40 “carceri fantasma”: da Ferrara a Reggio Calabria, da Pesaro a Monopoli, strutture costruite, talvolta già arredate, e poi lasciate lì, vuote e mai utilizzate. Un “dossier” che Rita Bernardini e gli altri deputati radicali hanno trasformato in interrogazione. Che, al pari di tantissime altre, attende risposta.
Giornalista professionista, attualmente lavora in RAI. Dirige il giornale telematico «Notizie Radicali», è iscritto al Partito Radicale dal 1972, è stato componente del Comitato Nazionale, della Direzione, della Segreteria Nazionale.

Vediamo al dettaglio. A Reggio Calabria, il carcere di Arghillà: costruito ma non raggiungibile, per mancanza della strada di accesso. Ce n’è una, in mezzo alla campagna, ritenuta non idonea al trasporto dei detenuti. Pronto dal 2005, dotato dei più sofisticati sistemi di sorveglianza, costo complessivo intorno a 25 milioni di euro. L’ex Ministro della giustizia, Angelino Alfano, il 18 gennaio del 2010, in visita nella città, aveva assicurato il suo intervento presso il Dipartimento per l’organizzazione penitenziaria per sollecitare l’apertura della struttura. Ristrutturato e chiuso anche il carcere di Squillace.
Carcere di Gela: cinquant’anni di lavori, ben due inaugurazioni: l’ultima nel 2007, con una cerimonia alla presenza dall’allora Ministro della giustizia Clemente Mastella. E’ costato oltre cinque milioni di euro, consegnato all’amministrazione penitenziaria nel 2009, è ancora inutilizzato, e il Comune paga per la sorveglianza.
Carcere di Irsina, vicino Matera: costruito negli anni ‘80 con una spesa di oltre tre miliardi di lire; aperto per un anno, poi chiuso. Come del resto è accaduto in Puglia: il carcere di Minervino Murge, finito, non è mai entrato in funzione. A Monopoli la struttura, abbandonata da 30 anni, è occupata da un gruppo di cittadini sotto sfratto. Il carcere di Volturata Appula, vicino Foggia, è rimasto incompiuto; quello di Castelnuovo della Daunia, finito e arredato, non è mai stato aperto, come quelli di Bovino e Orsara.
Chiuso, dopo essere stato inaugurato e aperto, il carcere campano di Gragnano, in provincia di Napoli. Pronto anche Morcone, in provincia di Benevento, mai messo in funzione. A San Valentino, in provincia di Pescara, c’è una struttura, completata nel 1994, mai aperta, in totale stato di abbandono: circondato da vegetazione incolta, gli abitanti della zona raccontano di avere visto pascolare capre e mucche. In provincia di Mantova, a Revere, i lavori fermi dal 2000; è una struttura da 90 posti, due milioni e mezzo di euro, incompleta, già saccheggiata. E in Emilia Romagna, nel ferrarese, è ancora chiuso il carcere di Codigoro, pronto all’uso già dal 2001.
Tutto questo accade mentre nelle carceri in funzione (si fa per dire) si vive come sardine. Nel carcere di Trieste, segnala il direttore Enrico Sbriglia, segretario nazionale del Sindacato direttori penitenziari, la capienza regolamentare è di 155, ma esiste anche una capienza ritenuta tollerabile (non si sa bene su quali parametri) che è di 190-200 detenuti. “Un dato non proponibile”, dice Sbriglia. “Esiste un equivoco di fondo, se non proprio una vera e propria stortura. Se si va in cinque in una automobile immatricolata per quattro, si viene sanzionati: il principio dovrebbe valere anche per le carceri”. Tutte le carceri del Friuli Venezia Giulia, Trieste, Udine, Pordenone e Tolmezzo, sono sovraffollate, e hanno superato ampiamente il limite regolamentare e quello tollerabile, eccetto Gorizia. Già, Gorizia: ha meno detenuti rispetto la capienza, solo perché il carcere è pericolante, fatiscente.
Non c’è solo il sovraffollamento. Ormai la crisi, il collasso, investe anche il ’quotidiano’, il minimo essenziale. Quasi ottocento confezioni di carta igienica, oltre un migliaio tra spazzolini da denti e saponi per l’igiene personale, oltre seicento dentifrici sono stati regalati dall’Unicoop Tirrenio al carcere delle Sughere, a Livorno, per fronteggiare l’emergenza più volte denunciata negli ultimi mesi dal garante dei detenuti Marco Solimano. “Tante volte”, dice Solimano “abbiamo detto del sovraffollamento inaccettabile per un qualsiasi Paese civile. In più c’è il completo abbandono da parte del Ministero che da più di un anno non rifornisce i magazzini con i prodotti per l’igiene. Questo è un aiuto concreto, ma anche una testimonianza simbolica che vuole richiamare le istituzioni al loro compito”.
Che fare? “Si ricorra in modo più massiccio a misure alternative alla detenzione”, suggerisce il vicepresidente del Consiglio Superiore della Magistratura Michele Vietti. Bisogna anzitutto "ripensare alle misure alternative alla detenzione e rimodularne i presupposti, non scaricandone la responsabilità solo sui magistrati di sorveglianza ma fornendo delle precise linee guida". Si suggerisce poi "una moratoria generale sulla introduzione di nuovi reati…abbiamo un sistema sanzionatorio penale molto farraginoso e pesante, che finisce per intasare completamente il sistema processuale. Continuare a moltiplicare i reati come ad esempio ora per quanto riguarda il cosiddetto omicidio stradale, vuol dire diminuire le possibilità di arrivare a effettive condanne dei colpevoli. Non introduciamo più nuovi reati in un arco di tempo, ne abbiamo già a iosa". Sempre Vietti si dice favorevole alla depenalizzazione dei reati minori e osserva che "introdurre il reato di immigrazione clandestina non è servito ad accelerare le espulsioni".
Già, ma questo può riguardare le condizioni di vita dei detenuti. Il problema però è costituito dalle centinaia di migliaia di fascicoli e provvedimenti che piombano sulle scrivanie dei magistrati; migliaia di processi che inevitabilmente finiscono con l’essere prescritti. E’ una lotteria quella della prescrizione; ma chi ha un buon avvocato, con buone amicizie e conoscenze ha qualche possibilità in più di incassare il biglietto vincente. Si chiama prescrizione, cioè amnistia, di classe e di massa. I primi a dolersene e a ribellarsi dovrebbero essere i magistrati; i quali, al contrario, quando va bene, tacciono. A cosa di deve questo loro silenzio, questa apparente, ostentata indifferenza?
fonte: Notizie Radicali

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