domenica 14 agosto 2011

LA RIFORMA DELLA GIUSTIZIA


L’argomento rimane attualissimo. Ha suscitato polemiche infinite, che non si placano. Ne tratta, ogni giorno, la stampa nazionale.-

Il Consiglio dei Ministri l’11 Marzo scorso ha approvato un Disegno di Legge Costituzionale di “Riforma della Giustizia”. Una legge, che dovrà essere approvata due volte da entrambi i rami del Parlamento. Entrerà subito in vigore se approvata da due terzi dei parlamentari. Sarà sottoposta a referendum confermativo, nell’ipotesi contraria.- La “Riforma Costituzionale” verrà realizzata mediante 10 leggi ordinarie, da presentare in successione al Parlamento.-

Il Governo ha affermato che trattasi di “riforma epocale”, che interessa l’intera collettività e che il Ministro della Giustizia discuterà le innovazioni con i partiti di opposizione.-

Le polemiche sono nate immediatamente in seno all’opposizione e alla Magistratura. Contro un disegno di legge che richiederà lunghi anni per l’approvazione. Che l’attuale “maggioranza” non potrà riuscire a portare a termine.-
L’opposizione ritiene che la riforma scardini principi costituzionali e intenda punire la magistratura.- Quest’ultima ha dichiarato lo stato di mobilitazione e si è riservata manifestazioni varie, tra cui lo “sciopero”.-
Qualche magistrato ha dichiarato che “il governo non ha legittimità storica, politica, culturale e morale per affrontare il tema della riforma costituzionale della giustizia”.-
Altri ha minacciato che “ a riforme epocali la magistratura risponderà con atti epocali”.-
II
Polemiche incomprensibili perché basate su “affermazioni di principio”. Inspiegabili perchè richiederebbero chiarimenti, confronti, dibattiti anziché “minacce e insulti”.-
La “Riforma” in esame, in verità, differisce poco da quelle proposte in passato da esponenti politici dell’opposizione.-
Essa, in estrema sintesi, è articolata come segue:
1- Separazione delle carriere tra magistrato inquirente (P.M.) e magistrato decidente (Giudice); 2- Doppio Consiglio Superiore della Magistratura (C.S.M.), uno per i giudici, l’altro per i p.m., presieduti entrambi dal Presidente della Repubblica;
 3- Obbligatorietà dell’azione penale, ma nel rispetto di criteri dettati da legge;
4- Corte di Disciplina, con una sezione per i giudici e altra per i p.m.;
 5- Inappellabilità delle sentenze di proscioglimento o di assoluzione, pronunciate in primo grado;
6- Responsabilità civile dei magistrati per gli atti compiuti in violazione di diritti, alla pari degli altri dipendenti dello Stato;
7- Autonomia della Polizia Giudiziaria dal P. M..-

 Le basi di intesa tra Polo e Ulivo, raggiunta nella “Commissione bicamerale per la giustizia” del 1997, guidata da Massimo D’Alema, prevedeva: la separazione dei ruoli tra pubblici ministeri e giudici; l’istituzione di due sezioni distinte del C.S.M., una per i giudici, l’altra per i p.m.; l’obbligatorietà dell’azione penale, da esercitare secondo modalità stabilite dalla legge.-
Luciano Violante, sostenuto da Nicola Mancino, nel 2008, previde: elezione del C.S.M. per un terzo dai magistrati, per un terzo dal Parlamento, per un terzo dal Presidente della Repubblica; obbligatorietà dell’azione penale, nel rispetto delle priorità, individuate dal Parlamento; attribuzione di maggiore autonomia alla Polizia Giudiziaria.-
Andrea Orlando, responsabile del settore giustizia del Partito Democratico, nell’Aprile del 2010, propose: la distinzione dei ruoli tra giudici e p.m.; la riforma del sistema di nomina del C.S.M., che diluisse il peso delle correnti; una ridefinizione dell’azione penale.-
III
La “Separazione delle carriere” è imposta dal “Sistema penale accusatorio”, introdotto con legge del 1988, basato sui principi della “parità” fra accusa (P.M.) e difesa e “formazione della prova” in dibattimento davanti al giudice.- Giudice e Pubblico Ministero non possono restare “colleghi”, perché il primo assume un ruolo di “terzietà” rispetto alle parti del processo, l’altro riveste la posizione di parte e, pur restando sottoposto alla legge, può compiere atti discrezionali.-
Tale separazione comporterà “preparazione e concorso di accesso” diversificati.-
La “separazione”, tuttavia, potrebbe non  comportare risultati notevoli perché, nell’esercizio delle sue funzioni, il giudice potrebbe, per inerzia o pigrizia, “appiattirsi sulle richieste o argomentazioni” del P. M.-
La istituzione di un doppio C.S.M. è diretta conseguenza della separazione delle carriere.-
L’obbligatorietà dell’azione penale resta un principio costituzionale fondamentale, che, tuttavia, dovrebbe rispettare le “priorità” fissate con legge, al fine di evitare una dispersione di energie nella repressione di reati di modesto rilievo sociale, trascurando quelli c.d. “di sangue”, quelli realizzati dalle “organizzazioni criminali”, gli altri che offendono i valori fondamentali della società.-
La “Corte di Disciplina”, separata per le due categorie di magistrati (giudici e p.m.), dovrà essere esterna al C.S.M. per ovvie ragioni di sospetto sulla “natura domestica” della giurisdizione.-
La “inappellabilità” delle sentenze di proscioglimento o di assoluzione di primo grado deflazionerebbe il carico giudiziario.-
La “responsabilità civile” diretta dei magistrati per danni ingiusti, cagionati con dolo o colpa grave, appare abbastanza ragionevole ed ha costituito oggetto di “referendum”, votato dalla maggioranza degli italiani.-
La Polizia giudiziaria non deve appiattirsi sulle iniziative del P. M., ma deve agire con sufficiente autonomia nelle indagini.-
IV
La “riforma” non affronta il “problema” più grave della giustizia italiana: la lungaggine dei processi, sia civili che penali.- La Corte di giustizia Europea ha, da tempo e ripetutamente, condannato l’Italia per la lentezza della giustizia.-
La giustizia ritardata equivale a una giustizia negata (Montesquieu).-
La pendenza di un processo, che può durare decenni nello svolgimento dei tre gradi di giudizio, rappresenta, non solo per il cittadino onesto o sensibile, una “spada di Damocle” che turba la vita, che muta i rapporti umani e sociali, che cambia le condizioni di salute, lo stato d’animo, la voglia di vivere.-
Il Governo ha cercato di porre rimedio al problema, predisponendo un disegno di legge sul c.d. “processo breve”, che prevede termini perentori di definizione del processo penale.-
Le accuse generalizzate di “legge ad personam” ne ritardano l’approvazione.-
Se la legge viene qualificata “ad personam”, la mancata approvazione dovrebbe essere chiamata “contro la collettività”.- Per superare l’ostacolo basterebbe la previsione che “la legge non si applica ai processi in corso al tempo della sua entrata in vigore”.
-Resta, comunque, necessario che  l’Italia, “paese ritenuto culla del diritto”, riduca adeguatamente i tempi e i termini della definizione dei processi.-
Resta necessario che i “problemi” (che non hanno colore politico) vengano discussi e affrontati in uno spirito di collaborazione, utile al Paese.-

FONTE: LA RISACCA

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