martedì 9 agosto 2011

Catanzaro: detenuto di 67 anni s’impicca in cella


Da : OSSERVATORIO sulla REPRESSIONE 

Schiacciato dal peso del rimorso, s’è stretto la vergogna attorno al collo e ha chiuso definitivamente gli occhi. Francesco Beniamino Cino se n’è andato in silenzio, all’alba d’un giorno di festa. S’è ucciso nella solitudine della sua cella dopo una notte insonne, passata a ripensare all’ultimo spicchio della sua vita che gli era sembrato improvvisamente irrecuperabile. Cino era rinchiuso nel penitenziario di Catanzaro da martedì sera, dopo l’intervento chirurgico per l’asportazione d’un carcinoma, al quale era stato sottoposto il 28 luglio, nel policlinico di Germaneto.
Soffriva parecchio il sessantasettenne di Montalto Uffugo, nel Cosentino, soffriva dal 29 giugno, il giorno della follia. Quella mattina, nel giro d’un quarto d’ora, uccise i consuoceri, Franco Cariati e sua moglie Anna Greco, e ferì la nuora Teresa. Crimini documentati dalle investigazioni dei carabinieri del capitano Adolfo Angelosanto e dalle stesse ammissioni del commerciante reo confesso.
Cino interpretò il rifiuto dell’ex moglie del figlio ad abbandonare la “sua” casa come una congiura ordita nei suoi confronti dalla donna e dai suoi genitori. Nella sua mente, probabilmente, non c’era più spazio per altro di più razionale. E così s’armò e fece strage dei consuoceri. Dopo la mattanza, Cino fuggì, tentando di spararsi con la pistola nel parcheggio d’un centro commerciale di Cosenza. Ma l’arma s’inceppò e non poté completare quel suo disegno che ha, invece, definito, ieri mattina, lasciandosi soffocare da un lenzuolo che s’è stretto al collo nel chiuso della sua cella.
Negli ultimi tempi parlava tanto di quel suo desiderio che era diventato una ossessione. Cercava la morte, si sentiva finito. S’era rivolto al medico che lo aveva operato: “Dottore, la prego, mi faccia morire...”. Ne parlava spesso durante i colloqui in carcere con la moglie e il figlio e, pure, con i suoi legali, gli avvocati Ubaldo e Marlon Lepera. L’ultima volta era stato in ospedale.
Francesco Beniamino Cino confessò d’essersi bevuto una intera bottiglietta di colla vinilica senza tuttavia aver subito alcuna conseguenza. Intenzioni suicida che avevano spinto i difensori a vergare in fretta una richiesta al gip di Cosenza per sottoporre Cino a una perizia psichiatrica. Lo scopo era quello di valutare le condizioni psichiche dell’uomo e la sua compatibilità col regime carcerario. Il giudice aveva autorizzato la visita specialistica che, probabilmente, avrebbe dovuto svolgersi stamattina nell’infermeria del carcere catanzarese. Ma il sessantasettenne detenuto è stato più lesto.
Gli avvocati Ubaldo e Marlon Lepera hanno già preannunciato un esposto per fare piena luce sulla vicenda. L’iniziativa dei legali è finalizzata a verificare se c’è stata una flessione nel livello di sorveglianza dal momento che Cino aveva più volte esternato quella sua insana voglia d’ammazzarsi. Sospetti che rischiano d’avvelenare il metabolismo delle indagini sul decesso in cella. Uno dei tanti che si consumano nell’inferno delle prigioni italiane, quando la disperazione stritola la speranza.
Francesco Beniamino Cino s’è ucciso a 40 giorni esatti dalla strage. La sua discesa negli inferi era cominciata sotto casa, a Settimo di Montalto, quando affrontò Teresa Cariati, la nuora per “definire” la questione dell’appartamento. Un quartino che il giudice della separazione aveva assegnato alla donna: “Se non vuoi più abitare qui da noi, bene, allora vattene e restituiscimi le chiavi”.
L’incontro fatale rappresentò l’innesco che fece detonare la diga della ragione. La donna già in auto non avrebbe assecondato quella richiesta provocando la reazione del commerciante. L’uomo avrebbe aperto lo sportello dell’auto e avrebbe cominciato a percuotere la nuora. Avvisaglie che lasciarono i segni di un conflitto familiare ormai fuori controllo, nutrito da rancori e interessi. Quel pensiero fisso per la casa aveva finito per assorbire la mente del sessantasettenne.
La rabbia urlata in faccia alla nuora e la successiva aggressione fisica sarebbero stati i prodromi della strage, i sintomi di quella ossessione che finì per trasformare un tranquillo commerciante in un freddo assassino. Cino, ormai prigioniero della follia, sarebbe corso in auto a prendere quella vecchia pistola ereditata dal padre scatenando l’inferno. In quindici minuti ferì la nuora, sotto gli occhi dei due nipotini, e uccise i consuoceri.
Poi, fuggì, raggiunse Cosenza, dove tentò di togliersi con quella stessa pistola con cui aveva seminato la morte. Una rivoltella che, però, s’inceppò e lui andò via, con l’autostop, fino a raggiungere il Savuto, prima di decidere di consegnarsi ai carabinieri, confessando tutto. Per tre settimane è rimasto rinchiuso nel carcere di Cosenza. Poi, la necessità del trasferimento a Catanzaro per l’intervento chirurgico per il quale era già in lista da tempo. E dopo l’operazione, il ritorno dietro le sbarre dov’è rimasto per quattro giorni prima di togliersi la vita.

fonte: Gazzetta del Sud

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