martedì 9 agosto 2011

Non è per niente facile raccontare i propri reati


Non è per niente facile raccontare i propri reati

Parlare con gli studenti è per me troppo importante, perché mi fa vivere in maniera diversa il carcere e in carcere: dialogare con gli altri, soprattutto con giovani che hanno l'età di mia figlia, mi fa capire i miei sbagli meglio di qualsiasi altro esempio o ragionamento.
Parlando sono costretto a riflettere sul passato, ma anche sul presente e perfino sul futuro: la mia mente è occupata e sono "obbligato" a rimanere attaccato alla realtà della vita, perché uno dei rischi del carcere, almeno quando il periodo trascorso dietro le sbarre è lungo come nel mio caso, è quello di farsi assorbire dalle abitudini e dai modi di pensare di questo luogo, che difficilmente portano a qualcosa di buono.
Se dovessi dare un "valore" al progetto con le scuole, la prima osservazione che mi viene da fare è che si tratta di un'attività molto "faticosa" (non è mai facile raccontare i propri reati, e non ci si abitua mai all'idea del male che si è fatto), ma credo che sia stata proprio tutta questa fatica a farmi trovare la direzione giusta per dare una svolta alla mia vita.
Sono cinque anni che partecipo a questo progetto, e ogni volta che entrano gli studenti sono emozionato come le prime volte: ci siamo infatti resi conto che negli incontri non c'è mai nulla di ripetitivo; gli atteggiamenti dei ragazzi non sono mai gli stessi, non sai mai quali domande faranno, i loro pensieri, i giudizi e a volte anche i pregiudizi nei nostri confronti sono sempre un'incognita. I ragazzi hanno la grande capacità di guardarti dritto negli occhi e di dirti e di chiederti tutto quello che un adulto magari ti risparmia.
Ogni volta che entrano le classi e mi metto a sedere mi viene spontaneo pensare a come mi comporterei e cosa risponderei se lì davanti, a farmi le domande, ci fosse mia figlia, coetanea di quegli studenti, con la differenza che, mentre a loro che in fin dei conti sono degli sconosciuti potrei forse anche rifiutarmi di rispondere, a qualsiasi domanda di mia figlia - non foss'altro per il fatto che l'ho lasciata da sola quando era ancora piccolissima, aveva da poco imparato a camminare, e ora ha più di diciotto anni - non potrei proprio in alcun modo sottrarmi.
Io dunque, che non sono riuscito a dare consigli nemmeno a mia figlia, come posso darne ai ragazzi delle scuole? Io mi limito a raccontare la mia storia, spiego cosa mi ha portato a sbagliare e descrivo anche le difficoltà famigliari, ma i ragazzi hanno la capacità di metterti spalle al muro con le domande più inaspettate. Un giorno una ragazza, dopo aver sentito che ero in carcere per un omicidio per vendetta, e che cercavo di spiegare quanto sia distruttivo coltivare l'odio e pensare di potersi fare giustizia da sé, mi ha voluto mettere alla prova chiedendomi: "Ma se qualcuno facesse del male a tua figlia, tu come reagiresti?".
Non sapevo cosa rispondere. Nonostante stessi cercando di ragionare non riuscivo a mettere a fuoco quale comportamento avrei avuto in una situazione così drammatica, e alla fine ho risposto che non lo sapevo. Sono stato sincero, perché avrei potuto trovare una risposta di comodo, invece davvero non so come reagirei in una circostanza del genere. Non lo so veramente, però una cosa l'ho imparata, e anche di questo devo essere grato al progetto con le scuole: mentre prima pensavo poco e agivo d'istinto, da ora in avanti, e questo varrà per ogni questione della mia vita, prima di fare qualsiasi gesto penserò e ragionerò non una ma 100-1000 volte.
I ragazzi, con le loro domande, riescono a metterti a nudo, ti costringono a pensare e a ragionare facendoti sentire prima di tutto una persona normale.

Dritan Iberisha

fonte : Ristretti.it

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