giovedì 25 agosto 2011

IL CARCERE E LA STRADA SONO VASI COMUNICANTI


IL CARCERE E LA STRADA SONO VASI COMUNICANTI
di Francesca Carbone

Molta gente che non aveva casa è oggi in galera, e sulla strada finisce spesso chi esce dalla galera
e non ha nessun appoggio.
 Come Mario, dieci anni da detenuto e ora tra i senza dimora
e è vero che i cancelli degli istituti penitenziari si aprono a persone con storie diversissime alle
spalle, è anche vero che un destino molto simile attende però quanti, una volta fuori, si trovano
senza una rete sociale sulla quale contare: la strada.
A tenere compagnia a Mario (nome di fantasia, ndr), sono rimasti solo i ricordi.
 “In carcere ci si arriva o perché si commettono atti illegali, oppure perché qualcuno ti incastra: proprio come è successo a me”. Racconta di una moglie divenuta ninfomane che non lo lasciava dormire, e della
fatica di doversi alzare al mattino e di andare a lavorare per mantenere i tanti figli. Lei che si infila
in giri strani e che, una volta scoperta, gli scarica la colpa addosso, le accuse pesantissime ed una
pena da scontare per entrambi, quella di Mario particolarmente pesante. “Mi avevano assegnato un
avvocato d’ufficio - dice - figuriamoci quanta voglia aveva di lavorare!”.
Autentico viaggio nella memoria il suo o pura invenzione, o magari una versione parzialmente
vera, riadattata nei tanti anni passati dietro le sbarre, o ancora la lucida analisi di chi non ha mai
perso il senso della realtà? I giudici si sono già pronunciati molto tempo fa e noi non abbiamo
elementi validi né per dubitare del loro operato, né per mettere in discussione la veridicità della
testimonianza resaci da Mario. Raccontiamo di lui perché, qualsiasi sia il suo passato, ora è un
uomo solo e senza casa: “Non so perché allora i miei figli non mi abbiano creduto, forse hanno
pensato che in questo modo si sarebbero liberati sia della madre che di me, ponendo così fine ad
una situazione familiare divenuta insopportabile”, continua Mario, così solo da ritenere Maria De
Filippi la sua ancora di salvezza: “Sto cercando di contattare i miei figli tramite “C’è Posta per te” -
spiega - voglio mettere in chiaro una volta per tutte che non sono quel mostro che la cronaca di
allora descrisse, un molestatore di minori, un commerciante di materiale pornografico.”
Oggi ha 54 anni e ha saldato il suo debito con la giustizia scontando quasi dieci anni di pena, al
momento lavora part-time presso una cooperativa sociale per 30 euro settimanali (straordinari
esclusi). Residenza: asilo notturno del Torresino. Il suo curriculum racconta di un ex-pastore,
allevatore, saldatore, carpentiere, manovale, muratore, infermiere militare negli Alpini... eppure non
riesce a trovare un’occupazione “normale”. “Per ogni persona come me che si offre di avvitare
bulloni, ce ne sono dieci di 30 anni più giovani che le soffiano il posto perché sulle loro dita i
bulloni scivolano più in fretta” spiega, “e poi il carcere… il carcere rovina le persone, nessuno si
fida a prenderti”. Ogni tanto qualcuno stacca una linguetta con il suo numero di cellulare, da uno
degli annunci che ha appiccicato in giro per la città: “Eseguo lavori di pittura su muro-legno-ferro,
eseguo piccoli lavori edili, garage, ecc…prezzi modici…”, ma comunque resta durissima.
È difficile per i giovani incensurati e di buona famiglia mantenersi fuori dalla casa di papà, per
uno con l’età e la storia di Mario ancora di più. Ai pomeriggi passati a giocare a carte alle Cucine
Popolari si alternano le chiacchiere sulle panchine di Piazza Mazzini e ancora, giorni in cui il futuro
sembra solo un buco nero senza fine. E non è solo una questione di mancata competitività sul
mercato del lavoro: “Queste mani – dice guardandosi i palmi – sono segnate, per sempre. C’è lo
stigma della galera ed è raro trovare una donna che sappia comprendere e superare quel blocco, quel
muro che s’interpone fra me e lei”.
Niente stipendio, niente casa. “Cosa vorrei più di tutto? Più di tutto vorrei trovare una compagna
per tutta la vita, poi sono sicuro che la questione lavoro si aggiusta”, si lascia andare Mario, ma
subito si sveglia e cancella d’un tratto tutti i suoi sogni: “Ma come faccio?! Non ci si può
innamorare al Torresino, dove le donne dormono tutte assieme in una stanza da dieci! Quando non
hai neppure la forza di camminare perché la notte i tuoi compagni di camerata russano e tu non
chiudi occhio!”. Nelle sue poesie, tristezza e rassegnazione frammista alla rabbia per quel celebre
proverbio bugiardo: Finché c’è vita c’é speranza: “Certo, finché c’è vita c’è speranza, ma te la
devono anche dare… la speranza! Altrimenti, così, questa vita non ha senso”.
fonte: RISTRETTI.it

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